Quel meraviglioso dono chiamato ricordo

AnzianoContinuava a pensarci ininterrottamente.

Quella casa, quella campagna immensa, il mare in lontananza che si osservavano dai magnifici balconi; il profumo di fiori e resina, i colori di quella terra.

Gli mancava casa sua. Aveva nostalgia dei suoi compaesani, dei suoi amici, delle sue abitudini: ogni giorno si alzava presto, scendeva le scale e andava a fare una passeggiata col suo cane Free. L’aveva fatto per un’esistenza intera. Gli aveva dato il nome della libertà perché effettivamente era un cane libero. Usciva col padrone, lo accompagnava per un po’ di strada e poi si allontanava per i suoi bisogni, tornando, fedele, ogni giorno, al portone della stessa casa.
Dopo ogni passeggiata col cane, rincasava in quel luogo magico e cucinava ogni prelibatezza possibile: verdure ed ortaggi dei suoi terreni.

Un odore meraviglioso, semplice, delicato e naturale colmava l’intero condominio di una essenza invidiata da ogni vicino.

Nei pomeriggi estivi era sua abitudine stendere una sdraio sul balcone e star beato sotto i potenti raggi del sole a prendere colore, accompagnato da un cocktail e una rivista di sudoku. Nelle sere d’inverno, invece, finestra chiusa, termosifoni accesi per scaldare l’ambiente e lui, vicino al camino, con un sottofondo musicale e un bel libro.

Amava tutto di quella casa e di quella terra. Quei ricordi lo tenevano vivo.

Erano passati oltre vent’anni da quando non vi entrava più.
Dopo la morte di sua moglie, unica e sola compagna di una vita, con la quale condivideva quei pomeriggi, quelle passeggiate, quelle sere, quei colori, quei pranzi, lui e il suo cane abbandonarono la casa, lasciando tutto lì, fermo, uguale ed immobile.

Ed era sicuramente rimasto tutto esattamente come lo ricordava.

Ora viveva lontano dal mare e dalla campagna, ora non c’erano né Free  né la moglie adorata, della quale conservava  ceneri e pennellate di  memorie. In quella casa distante dalla vita e nitida nei ricordi. Reale, che ne potevi accarezzare i muri. Talmente sua da riuscire a vederne polvere e immagini.

Nulla era più come prima. Nemmeno lui.

Era rimasto solo, legato ad una vita finita da tanto tempo. Aveva deciso di vivere in città, vicino a tutti e lontano da ogni cosa che avesse un cuore. Il suo cuore. Per oltre trent’anni aveva lavorato come imprenditore edile, ma una brutta malattia l’aveva costretto all’invalidità.

Una donna si prendeva cura di lui. Una donna che lui reputava la figlia mai avuta. Una donna che gli aveva fatto il dono di condividere con lui una parte di sé: la bambina  che lei aveva avuto da una notte d’incanto e bugie, Sara, che lui considerava una nipotina.

Voleva bene a Lucia e a sua figlia, e loro lo rispettavano e lo amavano come fosse il padre che entrambe non avevano mai potuto conoscere. Storie di ordinaria solitudine.

Lui era sereno, nonostante la vita e tutti i dolori affrontati e subiti. Lui era contento perché aveva amato tanto, aveva vissuto intensamente, aveva lottato senza mai arrendersi, ed era stato amato, cosa che non tutti possono vantare di aver avuto in questa vita.
Sapeva di non avere troppo tempo, era consapevole che presto tutto sarebbe finito per magari poi ricominciare in altri modi e forme.

Chiese a Lucia di riportarlo a casa, nella sua vera dimora, nella sua terra, e di passare del tempo lì con lui.

Lucia, Sara e lui prepararono le borse e tornarono nel paese dei ricordi e dell’amore.

Furono giorni felici.
Lui provò sensazioni ed emozioni uniche. Sembrava che il tempo fosse sempre rimasto fermo, immutato, eterno.Ogni foto al suo posto, ogni sedia ove era sempre stata. Le lenzuola di allora, le luci di sempre, la cuccia e la ciotola del suo cane, i colori di una vita, gli odori meravigliosi di quei terreni, il profumo di quell’aria e la sensazione ritrovata di pace interiore.

Era felice.

Infinitamente.

Come infinitamente amava tutto quello …

… Lucia e Sara erano uscite per far la spesa.

Lui aprì un cassetto impolverato e recuperò una foto di Free. La baciò.
Uscì sul balcone e, guardando i fiori ed il mare, la bruciò, lasciando volare via i frammenti. Subito dopo prese l’urna, la aprì e la scosse nel vento, facendo ballare via anche le ceneri della moglie.

Era quello il loro posto. Lo era sempre stato e per sempre quello sarebbe rimasto.
Si guardò intorno, si sentì maledettamente pieno di gioia, di amore, di felicità.

Chiuse gli occhi e respirò profondamente.

Si circondò del calore dei suoi ricordi e rimase lì, su quel suo amato balcone, sorridente.
Rivide sua moglie. Il suo cane. Si fecero una lunga passeggiata in uno dei loro parchi del cuore.
Si riempirono di baci, di amore, di attenzioni.

Poi una carezza.
Aprì gli occhi. Era Sara. Sorridente.

Era ancora in bilico sulla linea sottile che separa la realtà dal sogno.

Poi capì. Accarezzò anch’egli la piccola bimba sulle guance. La strinse a sé.

Non era ancora il momento per andare via da quella vita. Sara e Lucia avevano bisogno di lui, come lui di loro.

Colmo di quel meraviglioso dono  chiamato ricordo, che gli regalava ogni volta infinite emozioni,  tese le mani verso Sara e Lucia e decise di intraprendere il restante cammino della sua esistenza con loro, perché la vita non finisce mai fino a che hai il cuore pieno d’amore.

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