Pietro Antonio Cesti a 400 anni dalla nascita  

Lodovico Ottavio Burnacini, scenografia per la scena degli Inferi nell’opera Il Pomo d’oro di Antonio Cesti, (Vienna, 1668)

Su Pietro Antonio Cesti (Arezzo, 1623 – Firenze, 1669), tra i più apprezzabili musicisti del Seicento europeo, l’Accademia Petrarca – con la partecipazione della Fondazione Guido d’Arezzo, del Liceo Classico e Musicale e di D.I.M.A – ha organizzato recentemente, presso la Casa del Petrarca (11-12 novembre 2023), un Convegno internazionale con un Concerto a latere di musiche tratte dalle opere Tito e Orontea.

Cesti, oltre a costituire un personaggio sui generis, ha ancora bisogno di essere indagato affinché comprendere, attraverso la biografia e le opere, le sue relazioni con ambienti, istituzioni, nonché il suo rapporto con il mondo del potere, i librettisti e i mecenati all’interno del coevo periodo storico-culturale in Italia e in Europa. Il luogo ove avviene la sua prima formazione è la città d’origine e, più esattamente, la Cappella del Duomo e della Pieve ove gravitano musici come Paolo Antonio Bivi, meglio conosciuto come Paolo Aretino (Arezzo, 1508-1584) ed altri meno noti, autori soprattutto di musiche sacre che, nella maggior parte, attendono di essere scoperte ed eseguite.

Ritornando al musicista aretino sappiamo che a 10 anni è puer cantor, ovvero “fanciullo cantore” sia nel Duomo quanto nella Pieve. Poi nel 1637 l’investitura di conventuale presso la Chiesa di San Francesco assumendo il nome di Antonio e rimanendo in questo luogo almeno fino al 1643. Negli anni in cui egli vive ad Arezzo sono attivi molti maestri di cappella ai quali è affidata l’educazione dei giovani nelle diverse discipline musicali come il canto, la teoria musicale e i primi rudimenti della composizione. Tesi abbastanza condivisa è quella che Cesti sia stato allievo di Antonio Maria Abbatini nel paese natale del musicista (Città di Castello) e maestro di cappella anche durante il periodo romano. Il compositore comunque, dal 1643, ricopre il ruolo di organista (Cattedrale di Volterra e Basilica di Santa Croce a Firenze) mentre nel 1645 è ancora presente a Volterra come magister musicae del Seminario francescano. Poi nel 1659, grazie all’intervento di Alessandro VII, è a Roma, ammesso come tenore alla Cappella pontificia; infatti nell’orazione funebre dedicatagli da Ducci è ricordato così: «Ab. Antonio Cesti Musico di Cappella». Nei suoi 46 anni di vita, molti dei quali trascorsi in modo irrequieto e burrascoso, si segnala anche il desiderio di uscire dagli ordini religiosi onde dedicarsi ad altro e soprattutto godere di una condotta più libera tanto che l’amico pittore Salvator Rosa non esita a scrivere «Se mai vi abbattete con quel signor Cesti, che una volta in Volterra era frate […] fateli una raccomandazione da parte mia, e diteli che studi nelle materie della musica, chè si farà un grand’uomo; con patto però che lasci  star l’ Anna Maria, la qual come donna dà canzoni e canzonette».  Grazie alla protezione dei Medici e di alcune corti europee riesce a raggiungere una grande fama nell’ambito operistico componendo altresì un ragguardevole numero di Cantate ed una serie di Drammi musicali come Alessandro vincitor di se stesso su libretto di Francesco Sbarra (Venezia, 1651), La Dori con libretto di Giovanni Filippo Apolloni, (Innsbruck, 1657) e altri, fino all’opera più famosa, Il pomo d’oro, su libretto di Francesco Sbarra (Hofburg di Vienna, 1668).

Rimane il rammarico che egli abbia concentrato il suo talento in quella forma di spettacolo che in quel tempo poteva procurare il tanto ambito successo e benefici, trascurando il genere sacro tanto significativo per la sua formazione musicale.

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