Nostra intervista al M° Salvatore Cordella
Maestro come e quando è avvenuto il suo battesimo con l’opera?
Il mio battesimo con l’opera è stato un po’ casuale. Partecipai ad un’audizione nel 1995 a Lecce per la selezione proprio di un’opera di Giacomo Puccini: Turandot. Avevo 18 anni, e da poco completato in Conservatorio gli studi di Flauto traverso.
Superai brillantemente la mia prima prova da solista e, di lì a poco, grazie all’intuizione della Maestra di Coro Emanuela Di Pietro, mi trovai catapultato sul palcoscenico. Si trattò di un vero e proprio capovolgimento della mia vita. Così iniziai a pensare ad un’alternativa diversa da quella strumentale. Cominciai a studiare canto a Firenze con Margherita Rinaldi e nel 2000 debuttai al Festival della Valle d’Itria di Martina Franca e poi ad essere su un altro palcoscenico importantissimo come la Fenice di Venezia nel ruolo di Gastone in mondo visione con Lorin Maezel alla direzione. La carriera da protagonista di un’opera fu invece Don Giovanni di Mozart alla Piccola Fenice di Osimo, città a cui mi sento particolarmente affezionato per il forte sentimento religioso legato a S. Giuseppe da Copertino, mio paese natale. La mia è stata una carriera in continua ascesa. Al Festival di Salisburgo fui al fianco di Anna Netrebko per una Traviata leggendaria, ancora oggi una delle più importanti opere della discografia mondiale. Poi l’Opera di Parigi e nel 2011 fino al 2018 al Metropolitan di New York.
In un libretto d’opera sono sempre gli interpreti i veri artefici del successo?
Gli interpreti sono una parte del grande puzzle. L’interprete ha il compito di leggere, di studiare l’opera ed il libretto. Nel caso di Verdi e Puccini, che non si fidano degli interpreti, le didascalie sono in ogni dettaglio ed in ogni battuta.
Il compito di ognuno è quello di dare il giusto equilibrio affinché la direzione musicale, quella del regista, dei costumi di scena, dell’ambientazione sia il più possibile aderente al contesto storico e che sia filologicamente la più accettabile.
Puccini riesce a penetrare nell’animo dell’ascoltatore. Vox populi Vox dei. Quanto il popolo incide nel decretare il successo di un’opera?
Non esiste l’opera senza pubblico! L’opera vive di consensi, di applausi o fischi. Puccini è vincolato al piacere che procura al pubblico. Puccini bisogna comprenderlo attraverso lo studio delle sue opere e della sua vita. É un fiume in piena, non c’è mai una quadratura, una scansione ritmica precisa, ordinata, difficile da spiegare e da interpretare. Cantare Puccini significa fluttuare nelle tonalità. Modularne i suoni, entrare nella musica con un carattere più intimo, romantico. In lui convive la dolcezza di un cantabile e subito un’esplosione orchestrale. É come pochi altri un osservatore attento della realtà.
L’attenzione di Puccini all’universo femminile secondo lei può essere stato il suo trascorso in una famiglia di sole donne?
L’infanzia rappresenta per ognuno di noi il cammino della vita. Essere coccolato da 5 sorelle, e tanto amato dalla madre ha inciso sicuramente nel vissuto dell’uomo e del compositore. La trattazione dell’universo femminile è evidente nella sua scrittura che appare quasi sempre intima e delicata.
Le opere più rappresentative raccontano in musica e sulla scena le donne, quelle sensibili, vittime dell’amore Mimí, Liú, Butterfly, o forti, tenaci come Tosca, Turandot. Ho avuto la fortuna di cantare in molte opere pucciniane (16 repliche di Bohème) e di averne subito completamente il fascino. La dolcezza del canto di Mimi, di Musetta, la passionalità di Manon, la donna sempre al comando come Tosca, fino a Turandot che, pur essendo un’opera più tetra, dai toni cupi, una storia di amore e sangue, la vera protagonista, l’unico punto luce, è ancora una volta un’anima gentile, riservata come Liú. Nelle sue opere emergono tante immagini che disegnano un uomo innamorato della vita. Le donne sono le protagoniste assolute con le loro paure, le certezze, le loro fragilità; aspetti che commuovono sempre.
Ci sono opere di Puccini che non hanno avuto lo stesso successo di quelle di repertorio che appunto lei ha già citato. Quale salverebbe tra le meno rappresentate a cominciare da quelle giovanili Edgar, Le Villis, etc… In assoluto quella a cui sono legato è La Rondine. Opera pressoché sconosciuta al grande pubblico. Vi è un’altra curiosità con il mio territorio poiché è stata interpretata la prima volta da Tito Schipa a Montecarlo.
A Puccini gli fu commissionata come operetta, genere che lui non amava affatto e nel terzo atto di intensa drammaticità, a Magda, la protagonista, affida una delle arie più belle dell’opera lirica, struggente il tema dell’ abbandono!
Lo studio che ha compiuto in tanti anni di carriera lo ha fatto sentire più vicino alla sua opera o al suo temperamento? Le è mai capitato di accettare un ruolo non adatto alla sua personalità o viceversa non aver mai cantato in un ruolo che ha amato tanto?
Un’opera che ho sempre amato cantare é l’Elisir d’amore di Donizetti. Un ruolo che sentivo vicino al mio stile. Avendo un registro più lirico non ho avuto la possibilità di interpretarlo nei nostri teatri di tradizione. La fortuna però arrivò, e quando mi fu proposto di eseguire l’opera al Metropolitan con Anna Netrebko fu per me un’ incredibile sorpresa, un’attesa molto lieta.
Per quanto riguarda Puccini, pur amando il ruolo di Pinkerton, ho avuto qualche difficoltà ad
affrontarlo. Si tratta di Madame Butterly, figura delicata e sensibile, a cui si contrappone un
personaggio maschile, codardo e vendicativo. Ricordo che feci fatica nell’ interpretazione dell’Aria “Addio fiorito asil”, non ero nei panni di quell’uomo che abbandona una donna sottraendole persino l’amato figlio!
Immaginerebbe oggi una vita nell’opera senza Puccini? Per molti studiosi e per molti melomani l’opera lirica finisce con Puccini, l’ultimo compositore del melodramma. Lei che di Puccini é stato raffinato interprete condivide questa considerazione?
Nella storia del melodramma non si può non essere d’accordo con quanti sostengono che Puccini abbia chiuso il grande momento storico del melodramma italiano ed è assai significativo che lo abbia fatto con un’opera come Turandot, la grande incompiuta. La mia idea è sicuramente quella di aver voluto concludere con un opera in cui ci fosse il trionfo dell’amore. La vera protagonista è Liù, la serva gentile, che dopo la morte sembra sopravvivere nell’ animo della crudele Turandot, la principessa di ghiaccio che cede all’amore. Nel pensiero di Puccini é importante il sacrificio che si compie come messaggio di speranza e che consegna al mondo un sentimento di gioia e di pace universale.
Sembra anacronistico oggi parlare di opera ai giovani, sebbene in essa vi sia rappresentata una sintesi perfetta tra letteratura, musica, scenografia, regia arte visiva, etc. Le sembra possibile in futuro riprendersi cura dell’opera lirica e dei compositori come è avvenuto nel passato?
Non si può parlare di recupero se non c’è la conoscenza. Nel 2023 l’opera lirica è stata insignita dall’Unesco Patrimonio Immateriale dell’Umanità. Si potrebbe cominciare a proporla, al pari di tutte le discipline scolastiche come materia di studio, come percorso di insegnamento che non sia finalizzato solo ed esclusivamente all’ascolto. Sarebbe un progetto di recupero della nostra identità nazionale e contestualmente della diffusione della lingua italiana nel mondo. Le scuole pubbliche e private, i Conservatori, le Accademie sono popolate di studenti di nazionalità straniera che, più di altri, sono motivati a studiare la lingua italiana per conoscere appieno l’opera.
Gli studenti della mia Accademia “Germogli d’Arte” provengono da ogni parte del mondo, con loro si avvia un progetto di formazione teso proprio alla conoscenza ed alla diffusione dell’opera lirica. L’augurio, per chi come me vive di musica, é che si possa concretizzare questo miracolo.