Una carezza “conciliare”

Oggi ricorre la pronuncia del discorso di Giovanni XXIII ai partecipanti alla fiaccolata per l’apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II. La sera dell’11 ottobre 1962 il papa, davanti a migliaia di fedeli riuniti in piazza San Pietro, esprime riflessioni che sottolineano l’auspicio di unità nel mondo e trasmettono emozioni attraverso immagini poetiche e sentimenti di amore verso il prossimo e, più in particolare, nei confronti dei bambini.

«Cari figliuoli, sento le vostre voci. La mia è una voce sola, ma riassume la voce del mondo intero; qui tutto il mondo è rappresentato. Si direbbe che persino la luna si è affrettata, stasera – osservatela in alto! – a guardare questo spettacolo […]. Questa sera lo spettacolo offertomi è tale da restare ancora nella mia memoria, come resterà nella vostra».

Se, per alcuni aspetti, queste parole sembrano rimembrare l’inizio del testo leopardiano Alla Luna: «O graziosa luna, io mi rammento» per altri, verso la conclusione, rimandano ad una dolcezza e tenerezza per i bambini: «Tornando a casa, troverete i bambini; date una carezza ai vostri bambini e dite: “Questa è la carezza del Papa”. Troverete qualche lacrima da asciugare. Fate qualcosa, dite una parola buona. Il Papa è con noi specialmente nelle ore della tristezza e dell’amarezza».

Da allora son passati ben 58 anni e quella parola tanto bella e importante come “carezza” purtroppo è sempre meno usata. Per alcuni aspetti e per la maggior parte delle persone essa sembra ormai confinata ai ricordi dell’infanzia quando veniva donata perché si era piccoli, senza tener conto che le carezze fanno sempre bene al nostro benessere psicofisico, sia nel riceverle che nel donarle.

Per tanti motivi e per evitare fraintesi spesso si preferisce usare le parole invece delle carezze, tuttavia non riescono ad esprimere quell’affetto autentico che nutriamo verso alcune persone. Ma oltre che ad influire sulla sfera psicologica, la carezza e, in generale, anche altri gesti affettivi, sono importanti per ulteriori aspetti. Recentemente si è scoperto che attraverso essi si favorisce la produzione di un particolare ormone (ossitocina) importante per combattere sia la tristezza che la depressione.

Probabilmente occorrerebbe maggior coraggio e minore imbarazzo per non dimostrarsi avari e reticenti nella gestualità affettiva.

Come sarebbe bello, invece di assistere a litigi, a scene di violenza come la cronaca di tutti i giorni trasmette, sapere di genitori che, rientrando a casa, donano una carezza e/o altro gesto affettuoso ai propri familiari oppure vedere persone che danno una carezza ai bambini, alle persone anziane, agli ammalati, a quelle bisognose di affetto e a tutte quelle portatrici di luce e di bellezza interiore.

Pur in periodo di COVID in cui, tranne per i congiunti, dobbiamo rispettare le distanze di sicurezza, almeno idealmente predisponiamoci ad incontrare con affetto il prossimo, convinti che i gesti affettuosi, quando nascono dal cuore e sono espressione dell’interiorità, non possono essere fraintesi.

Tornando alla carezza “conciliare” di Giovanni XXIII, quasi a voler riassaporare quel calore e dolcezza di chi aspira ad avere un cuore puro, concludo con le parole di Rodari tratte da Sulla luna grazie alle quali, attraverso la poesia e il riferimento ai sognatori, è possibile convincere anche gli scettici: «Or che i sogni e le speranze/si fan veri come fiori,/ sulla luna e sulla terra/fate largo ai sognatori!».

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