La commemorazione dei defunti tra storia, usanze e tradizioni

Il 2 novembre, commemorazione dei defunti è una ricorrenza della Chiesa Cattolica che ha le sue origini nell’antichità. Alcune civiltà in passato, avevano la tradizione di festeggiare i defunti nel periodo che va dalla fine di  ottobre agli inizi di novembre. Pare che la data del 2 novembre, da indagini storiche, abbia radici nel vecchio Testamento della Bibbia: Noè avrebbe costruito l’arca che lo trasse in salvo dal Diluvio Universale, proprio nel “diciassettesimo giorno del secondo mese”, il corrispettivo del 2 novembre del nostro calendario.  In suffragio delle vittime del diluvio era usanza celebrare una festa per tenere lontano eventi drammatici, per esorcizzare la paura di nuovi eventi nefasti. Il rito della commemorazione dei defunti è presente in tutte le civiltà, dall’antica Roma ai Celti, tradizioni differenti con l’obiettivo di alleviare le sofferenze dei defunti, affinchè potessero avere degli influssi positivi sui vivi.

L’abate sant’Odilone di Cluny, nel 998, stabilì che le campane dell’Abbazia fossero fatte suonare con rintocchi funebri dopo i vespri del 1º novembre, per celebrare i defunti. In memoria dei cari scomparsi ci si mascherava da angelo, santi e diavoli e si accendeva un falò. Da quel momento, si scelse di commemorare i morti nel giorno del 2 novembre.

Da nord a sud del nostro Paese, numerosi appaiono essere i riti e le usanze. Ogni regione ha le proprie tradizioni legate a questo giorno, ma una leggenda comune riguarda la notte fra l’1 e il 2 novembre, notte in cui i defunti tornerebbero nel mondo dei vivi. Ci sono tuttavia credenze e usanze diverse nelle varie parti d’Italia. In Lombardia, in alcune zone, la notte tra l’1 e il 2 novembre si è soliti lasciare in cucina un calice d’acqua fresca, per far dissetare i defunti. Anche nel Friuli le anime trovano ristoro nelle case: un lume acceso alla finestra indica la via per trovare un po’ di pane e una brocca d’acqua. In Piemonte la vigilia del 2 novembre, le famiglie si riuniscono per cenare e pregare insieme, lasciando poi la tavola apparecchiata per i defunti. Il 2 novembre, dopo il tramonto, le famiglie vanno al cimitero a visitare le tombe dei propri cari, mentre le anime dei morti entrano per riposare nelle case lasciate vuote. Al suono delle campane, le famiglie possono ritornare a casa. Questa tradizione esiste anche in Valle D’Aosta. mentre in Liguria si preparano le fave secche “i bacilli” e le castagne bollite “i balletti”.In Veneto, si usa offrire alla promessa sposa gli “Ossi dei morti”, un sacchetto contenente delle fave in pasta frolla colorata. In Trentino, si lascia la tavola apparecchiata e il focolare acceso tutta la notte, dopo che le campane hanno suonato a lungo per chiamare le anime di tutti i morti. Nelle campagne cremonesi ci si alza presto al mattino, si rassettano i letti, per consentire alle anime dei propri cari di riposare. Poi ci si reca di casa in casa, per raccogliere farina e pane per preparare dei dolcetti tipici di questa festività. A proposito di dolci, in Umbria si usano fare per questa ricorrenza dei dolcetti a forma di fave, gli “stinchetti dei morti”; a Treviso si preparano focacce chiamate “i morti vivi”; in Puglia c’è il “Grano dei morti” (Cicc cuòtt), un dolce antichissimo fatto con grano e melagrane. In Abruzzo, è consuetudine lasciare, la tavola imbandita tutta la notte e lumini accesi alle finestre. Inoltre, ai bambini viene dato un cartoccio di fave dolci e confetti prima di andare a dormire. In Sicilia, i bambini sono  i protagonisti della festa dei morti, il 2 novembre  se sono stati buoni, troveranno dei regali lasciati dai defunti, e spesso sono giochi che i bambini hanno richiesto scrivendo una lettera ai propri cari che non ci sono più. Secondo la tradizione, durante la notte i defunti, entrano nei negozi e nelle pasticcerie, per prendere i doni per i più piccoli. Insieme ai giochi, la mattina del 2 i bambini siciliani, trovano anche ceste o vassoi con i dolci tipici di questo giorno, come i “pupi di zuccaro” (bambole di zucchero) e la “frutta di martorana”, fatta con la pasta di mandorle dipinta, ma anche caramelle e cioccolatini. In alcune province della Toscana si celebra il “bèn d’i morti”. In passato le famiglie più ricche  distribuivano cibo ai poveri e chi aveva una cantina e del vino a disposizione, offrivano anche un bicchiere di vino. Sempre in quelle zone, ancora oggi alcuni bambini portano al collo la tradizionale “sfilza”, una collana realizzata utilizzando mele e castagne bollite. In Sardegna, invece, i bambini si recano nelle case per chiedere offerte, per i morti e ricevono pane, dolci e frutta secca.

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