Vecchia politica e nuovi traguardi: la cultura salverà il mondo

È sotto gli occhi di tutti che la politica, al di là di dinamiche compulsive e legate al gossip spicciolo, non ha più nulla da dire alla gente. È, quella a cui siamo abituati ad assistere negli ultimi vent’anni, la politica del contingente, dell’efficienza, dell’ordinaria amministrazione, all’interno della tecnica dell’alternanza. È la politica della routine, vicina a quella delle tecniche di amministrazione di un condominio, con tutto rispetto per gli amministratori condominiali.

Il problema centrale non è che siamo in un regime unico, dove destra e sinistra fanno finta di essere una reale alternativa… un’alternativa che di fatto non c’è! Siamo in una società morente, che non si riproduce più, nonostante la sua ricchezza. Eh sì, perché se di povertà si parla, questa è una povertà relativa. Quella vera riguarda solo una fetta minimale e marginale della popolazione, una povertà strutturale che è connaturata con la società.

Ma c’è di più! Gran parte dei giovani sono fortemente disorientati, forse malati, senza un reale e concreto interesse e direzione: viaggiano e bevono, o per darsi un’identità, fanno i vegani, gli animalisti…

La questione centrale è che la nostra società ha raggiunto gli obiettivi fissati nel ‘700, dove un salentino, il marchese Giuseppe Palmieri, diede un contributo di altissimo rilievo nel definirli. Infatti, il benessere materiale diffuso non è più un traguardo sociale. Occorre dell’altro, occorre fissare nuovi orizzonti. E non basta “l’operazione meticciato” per rinvigorire la nostra società. Non basta acquisire immigrati per dare corpo alla nostra società, come si fa per i vini di poco corpo. In altre parole, non basta acquisire soggetti che hanno bisogno di tutto, per far rimanere in vita la nostra società, stanca e svogliata, vecchia e senza più energie.

Ma da dove ripartire? Forse dall’istruzione e, da qui, dalla cultura del bello, dal privilegiare la forma -che spesso è sostanza- dal dare impulso alle profondità dell’animo, dal seguire le proprie inclinazioni. Dall’istruzione, appunto, si deve ripartire perché è centrale in tutti i processi di sviluppo, di crescita orientati verso una società con alti gradi di civiltà.

Al riguardo, va sottolineato che, in Italia l’analfabetismo funzionale raggiunge picchi dell’80%: sappiamo leggere, scrivere e far di conto, ma non capiamo ciò che leggiamo, ciò che si dice. Ed è presto detto che la nostra società è una società opulenta ed ignorante. È da qui che si deve ripartire, dall’ignoranza, dal combattere l’ignoranza: il vivere civile cozza con l’ignoranza! Tutta la politica economica e sociale deve essere tarata su quest’obiettivo e da qui vanno riqualificate la destra e la sinistra. Occorre andare oltre Marx, oltre Smith, oltre Gramsci, e forse guardare all’Utopia di Thomas Moore.

La politica deve avere nuovi obiettivi sociali, di cui questi qui proposti non sembrano peregrini, dove lo Stato deve ritrovare un nuovo ruolo, non più legato alla redistribuzione del reddito verso l’alto o verso il basso, ma quello di propulsore culturale.

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