UE, tra barriere e integrazione. Regno di tecnocrati o di utopici sognatori?

bandiera unione europeaEra il 1941 quando tre uomini, confinati nella piccola isola di Ventotene per antifascismo, decisero di mettere per iscritto un sogno. Il loro sogno era quello di un’Europa unita, un’Europa dove nel nome della pace e dell’integrazione i vari Stati avessero il coraggio di mettere da parte le differenze e rinunciare alla propria sovranità.
Il sogno messo per iscritto prendeva il nome di “Per un’Europa libera e unita. Progetto d’un manifesto”, sarebbe nata la Federazione Europea, dotata di proprie istituzioni, di una propria moneta, di una propria politica estera.

La guerra di quegli anni aveva fatto conoscere a questi uomini ed al popolo europeo una sofferenza profonda. Non c’era famiglia che non fosse stata colpita da questa atrocità, da questa umana follia. E proprio nella sofferenza più intima, l’uomo si era riscoperto tale, aveva capito che di fronte alla sofferenza non esiste razza, religione, nazionalità. Di fronte alla morte l’uomo era semplicemente uomo.

A distanza di anni il sogno di quegli uomini non si è ancora realizzato pienamente ma grandi passi in quella direzione sono stati fatti. L’Europa ha un mercato unico, una moneta, delle istituzioni (nonostante non tutte realmente rappresentative della volontà dei cittadini), e si trova ad affrontare le difficoltà che il mondo di oggi presenta. Tra le sfide più significative dei nostri giorni e che sicuramente condizionano la vita politica, economica e culturale dell’Europa sicuramente c’è la questione Mediorientale, concausa principale di un’altra grande sfida, quella dell’immigrazione.

È ormai da diversi anni che l’emergenza degli sbarchi coinvolge il nostro Paese, in primis con le coste siciliane e poi con l’apertura per tutto il territorio della Repubblica dei centri d’accoglienza.

Nel solo 2015 si contano quasi quattromila morti nel Mediterraneo, tutti vittime del mare, lo stesso mare che storicamente ha fatto la fortuna delle terre che da esso sono bagnate. Quel mare che in passato aveva simboleggiato ricchezza, cultura, civiltà si è nuovamente macchiato. A ben vedere, in ogni caso, la responsabilità di queste immani tragedie poco hanno a vedere con il ciclo naturale degli eventi. Queste tragedie sono frutto di situazioni difficili dalle quali molte persone per regalarsi e per regalare un domani ai propri figli sentono il dovere di fuggire.

Un esempio di umiltà e vicinanza è arrivato dalla storica visita del 2013 di Papa Francesco a Lampedusa, il quale nella sua omelia ha rimarcato che al giorno d’oggi sembra che nessun uomo si senta responsabile per ciò che accade . Siamo la società  della globalizzazione, nella quale le informazioni viaggiano veloci ma il dolore no. I ripetuti fatti di cronaca nera, con l’annessa spettacolarizzazione mediatica, hanno quasi abituato all’idea che la vita di un uomo possa essere persa, senza nemmeno troppi patemi nell’animo di chi lo apprende.  Proprio per questo motivo, Papa Francesco in quell’occasione lanciò  il grido di “basta alla globalizzazione dell’indifferenza!”.

Nonostante ciò non mancano in Italia, così come in Europa, movimenti che osteggiano anche le più accorte e giustificate politiche di accoglienza, nonché movimenti che propendono per una radicale dissoluzione dell’Unione Europea in nome di presunte identità nazionali. A tal riguardo recentissima giunge la comunicazione da Vienna, secondo cui sarebbe partito il progetto per la realizzazione  di una barriera sul Brennero, al confine con l’Italia, al fine di limitare l’accesso dei migranti. Spesso queste posizioni vengono celate dietro interessi economici ma di fatto nascondono sentimenti del passato che evidentemente non sono stati del tutto debellati. E purtroppo ricorrenti, specie durante le giornate dedicate alla memoria, sono anche gli sfregi ai luoghi-simbolo, senza dimenticare il “revisionismo” inerente alle stragi della Seconda Guerra mondiale che dalle frange politiche più estreme di anno in anno viene sempre maggiormente rimarcato. Il tutto a dimostrazione, come sottolineato recentemente anche dalle più alte cariche dello Stato, che l’Europa deve prestare molta attenzione ai rigurgiti nazi-fascisti.

In una realtà così variegata risulta molto difficile poter dare un riscontro concreto al  sogno a cui alludevano Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni. Risulta difficile perché alla soglia del sessantesimo anniversario della firma del Trattato di Roma, primo vero passo verso un’Europa unita, l’integrazione è proseguita ma probabilmente non al ritmo auspicato. Ancora oggi si fa fatica nelle sede istituzionali di Bruxelles a raggiungere accordi politici, e non meramente economici, che comportino rinunce e sacrifici da parte dei Paesi membri.

Comunque da quel 1941 importanti traguardi sono stati raggiunti, basti pensare al più lungo periodo di pace (settant’anni) per il continente da dopo l’impero romano. Ed il fatto che una cultura, quale quella europea, costruita sull’integrazione tra gli Stati abbia serie difficoltà nell’accettare concettualmente, tralasciando in questa sede ogni problema pratico, un’emergenza umanitaria ne fa intuire la grande contraddizione in termini.

Probabilmente le suddette difficoltà sottolineano come le stesse differenze nazionali unitamente alle prospettive individualiste tra gli Stati membri non siano state del tutto superate. Tuttavia, nella consapevolezza che il valore della vita umana non è negoziabile a nessun livello, ci si augura che per il futuro possano essere adottate politiche di crescita e di integrazione rispetto al diverso, capaci di far acquisire alle istituzioni europee quel quid pluris capace di ingenerare fiducia dapprima nei cittadini europei, e dunque quella credibilità e solidità necessaria per affrontare le nuove sfide a livello mondiale. Solo così quel sogno avrà modo di continuare, diversamente sarà destinato a sgretolarsi sotto i colpi della cinicità e della grama convenienza economica.

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