Visti da vicino: Piero Grima

Nel mondo della cultura leccese, Piero Grima è persona certamente nota. La sua, però, è presenza discreta, non rumorosa, non pirotecnica, nonostante la produzione letteraria a lui ascrivibile sia veramente poderosa.

La circostanza che più mi ha colpito di Piero, durante la mia visita a casa sua, è la maniera e la modalità con cui maneggia i suoi numerosi volumi, posti nel salotto, anche se su un ripiano decentrato e semi nascosto. Sembra un vecchio pastore con le sue pecore: le ama, ha con loro un rapporto confidenziale, è cosciente di esserne il loro padrone, e, al tempo stesso, le rispetta e sa che da loro dipende la sua vita, la sua gioia. D’altro canto, credo che, il suo Dio di riferimento sia un Dio sommamente buono, generoso e che si prende cura delle sue creature con disinvoltura e grazia. Ed è in questa maniera che, poi, ha svolto anche la sua professione di medico.

È un oratore raffinato, pacato e dotato di una forza catalizzatrice spiccata: affabula e rende piacevolmente tranquilli. Insomma, uno chic della parola. E parte della sua produzione letteraria è scritta per come parla. È quella che comprende la giallistica, col suo commissario Santoro, sua creazione, voluta per dare una liaison alla sua vasta produzione.

Originario di Bari per circostanze familiari e di lavoro, ma suo padre è napoletano e sua madre è leccese. In ogni caso, già a nove anni si trasferisce a Lecce, dove attualmente vive e gode pienamente dei suoi anni più maturi. Nonostante sia sotto gli ottanta –che porta benissimo peraltro- i suoi progetti per il futuro sono molto vivaci; e ciò in parte perché la sua creatività si presenta indomita e tumultuosa, in parte perché vuole lasciare un segno profondo della sua esistenza.

Proprio in tale prospettiva vanno inquadrati gli anni in cui si forma come medico e come letterato. Fino agli anni ’60 la sua permanenza a Nord, tra Firenze, Parma, Pavia e numerosi soggiorni a Parigi, gli consente di acquisire una cultura metropolita, di stampo esistenzialista, da un lato, e comunista dall’altro. Ma c’è di più, è un tempo nel quale conosce e frequenta Cesare Musati, fondatore della psicoanalisi in Italia e uno degli allievi prediletti di Freud.

Un quadro di riferimento culturale questo, che gli ha consentito di dare voce alla sue domande sull’esistenza e che lo hanno condotto per tutta la sua vita sino ad oggi, anche se con l’avanzare degli anni l’impellenza di risposte si è affievolita. Da qui la sua copiosa produzione fino al 2000, tra cui vanno ricordati i titoli più rinomati, quali appunto La strada degli alberi, Il caffè delle rose, L’uomo che rubava la luna. Tutti libri nei quali, va sottolineato, Piero scrive, invece, per come pensa, riuscendo così a portare al lettore la parte più profonda di se stesso, quella più interrogativa, quella più visionaria, alla ricerca di certezze al di qua e al di là dell’esistenza.

L’ultima produzione di Piero Grima si presenta, al contrario, più descrittiva e colta, incentrata sulla storia della medicina attraverso la letteratura, che si sostanzia in nove volumi sulle malattie infettive, tutti editi da Besa.

Insomma, nonostante la sua riservatezza e il suo essere reticente, Piero Grima è un autore leccese che non passa inosservato, sebbene sia conosciuto più negli ambienti alti della borghesia salentina e meno rispetto a quella più mondana e goliardica. Ciò è dovuto anche alla sua ambivalenza nei confronti della società del capoluogo salentino, rispetto alla quale se da un lato la difende a spada tratta nei confronti e negli affronti degli “stranieri”, dall’altra la reputa poco stimolante, troppo ripiegata su se stessa in un’autocelebrazione, che per lui non ha senso.

La sua, in definitiva, è una presenza-assenza che forse dà corpo alla nostra cultura, rendendola più ricca ed interessante… evoluta.

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