Spostiamoci più in “La” – (Parte seconda)

“Musica, chiave d’argento che apri la fontana delle lacrime, ove lo spirito beve finché la mente si smarrisce; soavissima tomba di mille timori, ove la loro madre, l’inquietudine, simile ad un fanciullo che dorma, giace sopita ne’ fiori.” [Percy B.Shelley 1792-1822]


Riprendiamo il discorso iniziato qualche giorno fa sulla natura dei suoni e cerchiamo di capire un po’ più da vicino che cosa avvenga intorno a noi. In che modo percepiamo nell’ambito della nostra sfera uditiva questi avvenimenti? E come, infine, distinguiamo tra “musica” (bella o brutta che ci appaia) e “rumore”? Iniziamo quindi ad analizzare in modo maggiormente tecnico il fenomeno ed a passare sotto la lente del nostro microscopio i meccanismi che lo rendono possibile.

Immaginate di gettare un sasso sulla superficie calma di uno stagno. In assenza di correnti o financo della più leggera brezza o rèfola di vento, intorno al punto in cui il sasso si sarà inabissato, compariranno una serie di cerchi concentrici che si allontaneranno progressivamente dal centro allargandosi sulla calma superficie dell’acqua.

L’immagine appena evocata esprime in modo molto chiaro cosa avvenga allorquando si metta in vibrazione una corda: l’aria viene messa in movimento ed arriva al nostro orecchio sotto forma di suono. A seconda del periodo, ossia del numero delle oscillazioni complete compiute dalla corda in un singolo secondo, ed in relazione quindi al maggiore o minore numero di oscillazioni, percepiremo il suono come acuto o grave mentre in rapporto all’ampiezza descritta dalla curva di oscillazione, lo avvertiremo invece più forte o più debole.

Adesso proviamo a dare un nome più specifico a questi fenomeni. Come già detto, le oscillazioni – ossia l’altezza dei suoni – si misurano come frequenze in Hertz (Hz.), mentre la potenza – e cioè l’ampiezza, il “volume” a cui ci arriva la musica – valore che aggiungiamo adesso, si misura in decibel (db).

Come vedete ci stiamo avvicinando sempre di più all’argomento centrale di questa piccola serie di conversazioni artistico/scientifiche: il La a 432 Hz. Ma cos’è un La, da dove viene e soprattutto, perché risulterà essere così importante, soprattutto se tarato su quella specifica frequenza?

La musica che ascoltiamo ogni giorno è composta utilizzando essenzialmente una serie di 12 suoni che si ripetono – ciascuno al doppio della frequenza della serie precedente – a partire dal più grave suono udibile dall’orecchio umano fino al più acuto, in un ambito compreso all’incirca tra i 20 ed i 20.000 Hz. Stiamo parlando di valori variabili dipendenti da fattori come l’età, o lo stato di salute, ovviamente, così come ci stiamo riferendo alla risposta media dell’apparato uditivo umano a quelle sollecitazioni. Al di sotto ed al di sopra di questi valori abbiamo gli Infrasuoni e gli Ultrasuoni, vibrazioni che pur investendoci non percepiamo.

Questa serie di 12 note si caratterizza anche per equidistanza, per essere cioè ciascuna di esse alla stessa distanza dalla successiva; tale distanza è il semitono ed è per definizione la più piccola distanza possibile, almeno nell’ambito della musica occidentale. Per rendere la cosa un po’ più chiara, osserviamo la tastiera di una chitarra: ogni tasto è un semitono. Ancora più facile l’osservare la tastiera di un pianoforte: la distanza tra ogni tasto ed il successivo, sia esso bianco o nero, è anche qui di un semitono.

Questo materiale “di base”, detto totale cromatico, rappresenta l’alfabeto della nostra musica. Come tutti gli alfabeti quindi deve essere organizzato secondo un modello che lo renda utilizzabile ai nostri scopi: le scale. Ma di questo parleremo la prossima volta.

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