Il Magnificat di J. S. Bach nel terzo centenario

Sandro Botticelli, Madonna col Bambino e angeli (Madonna del Magnificat), 1483, Galleria degli Uffizi, Firenze

«Magnificat / anima mea Dominum»: chissà quante volte l’abbiamo ascoltato nelle varie intonazioni, dal gregoriano alla musica contemporanea di Arvo Pärt che proprio nel canto gregoriano e nella musica antica trova il suo linguaggio più consono. Il focus è sul Magnificat in Re maggiore, BWV 243 per soli, coro e orchestra di J. S. Bach, a tre secoli di distanza dalla prima esecuzione alla Thomaskirche di Lipsia avvenuta il 2 luglio 1723.

La composizione è una delle pagine più belle della produzione sacra bachiana, probabilmente, e anche tra le meno difficili da ascoltare. Il testo è tratto dal Vangelo di Luca (1,39-55) che racchiude la risposta di Maria alla cugina Elisabetta che l’aveva salutata come madre di Gesù. Trattasi di uno stupore talmente contagioso che per alcuni aspetti sembra di assistere a quello più grande della giovane Maria nell’esultanza a Dio: «perché ha guardato l’umiltà della sua serva» (quia respexit humilitatem ancillae suae) come ben esposto nell’Aria per soprano, in un continuo dialogo ricco di pathos che si intreccia con la dolcezza timbrica dell’oboe d’amore.

A governare la splendida partitura è il principio della varietas ove tra i vari aspetti colpisce la ricca tavolozza di colori come si evince dall’organico nell’edizione ms., s. d., ca.1732-35:

2 Soprani, Alto, Tenore, Basso;
3 Trombe, Timpani;
2 Traversi [Flauti traversi];
2 Hautbois [Oboi];
2 Violini;
Viola e Continuo.

Si segnala la presenza di interventi vocali (corali e solistici) mentre per la realizzazione del continuo, oltre all’organo, partecipano una serie di strumenti gravi per il raddoppio del basso: violoncello, violone, fagotto. Strumenti a parte, di fronte ad un’opera del genere in cui Bach è il dominus della perfezione sonora e teologo, questo monumento della musica sacra non poteva passare inosservata ad un musicista come Nikolaus Harnoncourt tanto da vederlo assai ispirato alla testa del Concentus Musicus Wien & Arnold Schoenberg Choir e con un interessante cast di voci soliste in una tra le più belle interpretazioni.

(https://www.youtube.com/watch?v=CdqQtc5QENg) e/o Bach, Cantatas, BWV 61, 147/Magnificat – Bernarda Fink, 2000 Arthaus/Naxos.

La direzione di Harnoncourt risulta molto scrupolosa, profonda e filologica; l’ensemble viennese suona con cantabilità, articolazione dei suoni e fraseggio talmente in simbiosi con i cantanti tanto da risultare altre voci. Si evidenzia inoltre: il testo è cantato in latino come accade per la Messa in si minore e non per altre opere bachiane; scelta del tempo più appropriata, comprensione del testo, pathos necessario per muovere gli affetti (Affekten lehre) all’interno della retorica per renderla prossima al linguaggio umano. La versione nella tonalità di Re maggiore (1733) sostituisce la precedente (in Mi bemolle maggiore BWV 243a, concepita come opera natalizia ed eseguita, probabilmente proprio nel Natale 1723 e che trova il suo fondamento nella presenza di alcuni inserimenti ascrivibili alla stessa festività), caratterizza la fulgida luminosità e risulta più adatta per la tromba e il flauto traverso come riscontrabile in molta letteratura barocca. In sostanza è lo stesso organico strumentale (privo dei due flauti) dell’Ouverture n. 3 in Re maggiore per orchestra, BWV 1068.

Ritornando al Magnificat, l’opera è costituita da 12 pannelli sonori con 5 interventi corali e orchestra al completo (nel n. 4 assenti trombe e timpani), con inserimento di 5 arie, un duetto ed un trio dando come risultato un grande polittico sonoro. Inoltre ogni numero presenta combinazioni e connotazioni timbriche straordinariamente appropriate come accade già dal primo numero (Magnificat) ove, grazie all’intervento del coro e di tutta l’orchestra, si percepisce quella magnificenza che irradia potenza espressiva dovuta anche all’inserimento della classica unione trombe-timpani che conferisce altresì un carattere luminoso e festoso. Segue l’esordio del personaggio evangelico (soprano II) con la reiterazione del canto di giubilo (Et exultavit spiritus meus) accompagnato con archi e continuo. Con l’Omnes generationes, secondo intervento del coro, si percepisce la reiterazione ma anche l’effetto di ‘accavallamento’ di una parte (-ones) del termine generationes nel voler sottolineare al meglio “tutte le generazioni” che loderanno la Madre di Gesù. In questo numero i due oboi, contrariamente al consueto uso come raddoppio dei violini, ora insieme ai flauti, suonano all’unisono con le voci, conferendo una bella fusione e per garantire sostegno alle voci all’interno di una scrittura contrappuntistico-imitativa.

L’aria del basso Quia fecit mihi magna è sostenuta solo dalla linea cantabile del continuo. Già dal suo esordio si dichiara guida sicura attraverso un motivo ostinato. Il numero 6 corrisponde al duetto tra contralto e tenore: Et misericordia. Pagina ben lontana dal trionfalismo iniziale nella più intima tonalità di mi minore e con l’orchestra formata da violini col sordino (ma dolce), raddoppiati dai flauti, viola e basso continuo che, insieme alle voci, all’interno di uno spazio più piccolo (parti strette), si muovono per intervalli paralleli di terza o di sesta ove le reiterate consonanze sembrano conciliarsi con una dolcezza simile ad una ninna nanna.

Il Fecit potentiam segna il ritorno del coro e dell’orchestra al completo. Pagina molto impegnativa anche per il coro perché non può contare sul sostegno (raddoppi) degli strumenti. Ognuno, ascoltatore compreso, deve stare attento a non ‘disperdersi’ ed aspettare una scrittura meno movimentata per giungere attraverso la cadenza V-I e rientrare finalmente nella tonalità di impianto, Re maggiore.

L’aria del tenore, Deposuit potentes, con violini all’unisono e continuo, già dall’introduzione strumentale sembra anticipare con un certo tono minaccioso (ripreso poi dalla voce) coloro che compiono mancanze nei confronti di Dio in quanto Egli ha piegato la potenza del suo braccio fino a rovesciare i potenti dai troni ed innalzare gli umili.

Nell’Aria Esurientes implevit bonis affidata al contralto dialogano due flauti con il sostegno del continuo. Il Suscepit Israel più che un trio sembra un ‘trittico’ per due soprani e contralto cui si uniscono due oboi all’unisono e il continuo offrendo una luce timbrica interessante. Dopo le prime 4 battute in cui le voci si imitano a vicenda entrano le altre ‘voci’ all’unisono degli oboi incentrate sulla melodia gregoriana del Magnificat in tedesco (in tonus peregrinus) e ben riconoscibile perché espresso attraverso valori ritmici più grandi.

Segue un fugato del coro, Sicut locutus est, sostenuto dal continuo, ove domina la grande mente architettonica di Bach come si evince nella percezione precisa dell’alternanza soggetto-risposta dell’Esposizione (Re maggiore: tonica – dominante).

Con l’ultimo intervento troviamo nuovamente protagonista il coro che intona «Gloria Patri» sostenuto dall’orchestra al completo.

Quanto si percepisce e che suggella tutta l’opera è intuibile già dalle prime pagine grazie alla varietà della scrittura: omoritmica (I battuta) per scandire il Gloria e poi dare vita ad un’imitazione continua (entrate simmetriche con figura terzinata, a distanza di metà battuta) iniziando dal basso e salendo fino al soprano I e viceversa, tanto da restituire una corrispondenza visiva della Glorificazione.

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3 comments
  1. Il maestro Dell’Atti riesce ad estasiarci con i suoi articoli che, anche per i non addetti ai lavori, resta un ‘affascinante interpretazione tecnica e storica di un grande Artista come Bach. Non resta che ringraziare l’autore.

  2. Gli articoli del Maestro Salvatore Dell’Atti, caratterizzati da un linguaggio impeccabile e da una competenza straordinaria, permettono anche al lettore inesperto di avvicinarsi con interesse al mondo sublime e complesso della Musica e dei suoi Interpreti. L’autore riesce a tradurre concetti profondi e inusuali in cognizioni intuibili e avvincenti. L’articolo presenta in modo superbo un’opera grandiosa suscitando, anche nei meno esperti, l’aspirazione alla conoscenza di questo capolavoro.

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