“Qualunque melodia più dolce suona quaggiù” – La musica in Dante: pubblicato il volume curato dal M° Salvatore Dell’Atti

“Qualunque melodia più dolce suona quaggiù” – La musica in Dante – è il titolo del libro edito da ASKA Edizioni – Firenze – che inaugura la Collana di Studi: Musicarum Memoriae 2021, realizzato grazie al contributo della Direzione generale Educazione, ricerca e istituti culturali del Ministero della cultura, e curato da Salvatore Dell’Atti, musicologo, compositore, docente, flautista, direttore d’orchestra, Direttore dell’Audioteca Poggiana.

La frase, tratta da un verso del XXIII Canto del Paradiso nella Divina Commedia di Dante Alighieri, intende guidarci verso quello che sarà l’argomento in questione, anche suggerito dal suo sottotitolo: “La musica in Dante”. L’immagine scelta per la copertina “Vanitas still live” (1662), del pittore olandese Edwaert Collier (1640-1708 ca.), introduce il lettore alla “fragilità della vita” attraverso quegli elementi che simboleggiano gli effimeri piaceri dell’uomo. Quella stessa vita, di cui Dante analizza molti aspetti e conseguenze.

Il lavoro è il “frutto maturo” nato a seguito della Giornata di Studi tenutasi a Montevarchi, il 17 Dicembre 2015, organizzata dall’Accademia Valdarnese del Poggio (sorta nel 1805 a Figline Valdarno, per onorare l’esperienza di Poggio Bracciolini), con il patrocinio della Società Dantesca Italiana e il contributo del MIBAC, ad un anno di distanza dalla morte di Ottavio Matteini, giornalista, scrittore, critico musicale, consigliere nazionale della stampa e dell’Ordine dei giornalisti (Presidente per diversi anni), che all’Audioteca Poggiana ha donato circa diecimila esemplari tra dischi in vinile e compact disc; mentre la pubblicazione degli Atti avviene a settecento anni dalla morte del Sommo Poeta.

Il M° S. Dell’Atti

Il volume comincia con i “Saluti” del Presidente dell’Accademia Valdarnese del Poggio, Lorenzo Tanzini; segue una esaustiva prefazione del Direttore dell’Audioteca Poggiana e della Collana di Studi, Salvatore Dell’Atti, infine, riporta i contributi dei suoi importanti relatori: Lorenzo Tanzini, Claudio Santori, Piero Mioli, Cecilia Luzzi, Elisabetta Pasquini, Guido Salvetti, Lucia Navarrini, Bianca Maria Antolini, Salvatore Dell’Atti.

Si parte da una riflessione sulle percezioni uditive ricevute da Dante, immerso in quel paesaggio sonoro fatto di canti profani e liturgie, suoni di tube e corni, di rumori di cavalli e di strumenti di lavoro, di voci squillanti di banditori, che annunciano e convocano gli abitanti di quella Firenze medievale, ricca di rumori e di suoni. Gli stessi che nella tripartizione della Divina Commedia sono presenti o completamente assenti, perché anche la musica è un dono e come tale va celebrato. Così dal rumore dell’Inferno, si passa alla musica monodica presente nel Purgatorio per poi giungere alla dimensione polifonica del Paradiso, che è movimento, quello rappresentato dalle sfere di cui parla Pitagora.  Ma la Divina Commedia è usata anche come fonte, da cui trarre notizie sulla polifonia francese e quella italiana. I versi di Dante, in particolare le cosiddette “rime petrose”, dove si fa ricorso alla “rimas caras” di tradizione trobadorica, trovano interesse in Marenzio, che le contrappone alla poesia lirica vicina allo stile dei Madrigali del’500. Si ritorna poi, in quell’Inferno “senza suoni” ma rumori, ampiamente sviluppato da Mercadante, che nell’800 fa della “Francesca da Rimini”, presente nel V Canto dell’inferno, un’opera lirica, la cui esecuzione però, è avvenuta solo in tempi recenti.  Sul finire del’700 e gli inizi dell’800, si assiste ad un risvegliato interesse per Dante e la sua diffusione. La prima traduzione in francese, solo dell’Inferno, avvenne nel 1783 grazie a Antoine Rivaroli, seguì quella completa del presbitero Félicité de Lamennais. Si racconta che Liszt ne portò una copia in dono a Wagner, che probabilmente l’aveva già letta da bambino, visto l’inequivocabile riferimento dantesco che si ritrova nel Nibelheim. Si esplora ancora l’estetica del brutto, rappresentata da quei “fortissimi” fff, che rievocano il vento nella “Francesca da Rimini” di Čajkovskij. Ma Dante è anche molto celebrato dai musicisti francesi dell’800 come Godard, che attraverso la Commedia riscoprono i valori morali e civili della sua poesia. Ed ancor più nel 1865 a Firenze, divenuta capitale d’Italia, le celebrazioni dantesche al sesto centenario della sua nascita “assunsero un valore squisitamente politico”. Nel 1890 in un momento storico/ politico difficile, i festeggiamenti beatriciani fecero da collante tra Italia e Francia con la compositrice francese Augusta Holmés ed il suo “Inno alla pace”, il cui testo alludeva alla Commedia di Dante, e nel quale Beatrice era “portatrice di pace”. Della musica composta su versi di Dante resta ben poco: la ballata “Deh Violetta” di Scochetto, “Quivi sospiri, pianti et alti guai dall’Inferno” di Marenzio ed altri madrigalisti, “Il Conte Ugolino” di Gaetano Donizetti, “Le Laudi alla vergine Maria” di Verdi, alcuni brani di Rossini, Ponchielli, Boito e poco altro. Questi, in breve, i contenuti dei contributi, adatti ad un pubblico specialistico per la profondità degli interventi, ed a un più vasto pubblico per la facilità di lettura.

Perché Dante agisce ancora oggi, basti pensare che l’87 % dei tremila vocaboli che l’italiano utilizza, fa parte di quel magazzino lessicale contenuto nella Divina Commedia. L’Italiano, lingua “fabbricata” da Dante, così solida e ricca. Dante, profetico, visionario eppure così attuale se pensiamo all’Inferno, all’amore disperato e all’odio politico e religioso.

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