Quando ci si sottopone ad un test psicologico di tipo proiettivo, si sa che la persona vede se stessa attraverso un filtro. Ella mette fuori ciò che ha dentro nell’osservazione. E’ il contrario dell’introiezione, entrambi sono dei meccanismi di difesa, ma non soltanto. Attraverso la proiezione si osserva, ci si ferma, si pensa, si torna indietro come nel brainstorming che vuol dire anche tempo a retroazione.
Così si narra una storia che vive nel sé e portandola fuori ci si eleva e “purifica” diventando al tempo stesso soggetti e oggetti del proprio divenire. Quindi la storia cura? Certo che sì, abbiamo esempi di positive risoluzioni a trattamenti posteriori all’utilizzo di reattivi proiettivi come le macchie di Rorschach, il TAT (Test di Appercezione tematica) e il CAT nella sua versione per bambini, ai fini dell’indagine della personalità, si dispone comunque di una batteria testologica all’uopo. E tutto parte da una base proiettiva che è il disegno a piacere in cui vengono esplicitate le prime emozioni colorate con significati annessi ad ogni tonalità. Ce n’è per tutti i gusti, il diario personale quandanche si voglia esplorare altresì nelle dinamiche verbali inconsce o subconsce pronte a diventare consce, riassunte nei ricordi della generazione babyboomer. Questo oggetto di vintage narra di tante storie che coloriscono di interesse lo studio del sé, avvalorando il sempre più frequente utilizzo della lettura di biografie, strumento formativo e fondante della personalità.
Argomento per addetti ai lavori,cara Daniela, come sei tu per quanto riguarda la psicologia, ma sicuramente comprensibile ,grazie alla tua capacità di rendere temi ostici alla portata di quasi tutti , grazie
Grazie, Anna Cara