La politica squinzanese spiegata attraverso l’arte

Squinzano (Le) – Dicono che fare politica sia un’arte, una di quelle arti che per essere praticata si deve saper parlare, essere convincenti, un po’ come vendere qualcosa. In politica si vende se stessi, cercando di trovare la giusta chiave per il consenso. Vista così, la politica potrebbe apparire come qualcosa di nobile, una delle arti retoriche più alte che l’essere umano possa praticare, ma è davvero così?

Lasciando da parte la politica nazionale, per non scatenare le ire delle varie “tifoserie”, oggi vorremmo parlare di quello che succede in uno dei paesi del Nord Salento, spiegandolo con il linguaggio, appunto, dell’arte; non dell’arte retorica, quella purtroppo ad oggi è fatta solo di chiacchiere, ma con quella pittorica.

Ecco, guardando dall’esterno il paesino in questione chiamato Squinzano e osservandolo di notte, potremmo paragonarlo “alla notte stellata” di Vincent Van Gogh, un magico paesino illuminato dal candore delle stelle.

Ora, avvicinandoci sempre di più, ci ritroviamo vicino ad un bar, immaginatevelo un po’ come la “terrazza del caffè la sera” sempre del medesimo autore sopra citato; ci sembra quasi di immergerci in quella atmosfera, caratterizzata da un gran vociare, il rumore di tazzine e le urla euforiche di passanti, si respira aria conviviale, quasi di festa, una serata primaverile dove poter fare quattro chiacchiere in allegria. Entriamo ora all’interno di questo locale, che dall’esterno sembra essere davvero luminoso, al contrario dell’interno molto lugubre, quasi in penombra, dove ad un certo punto, in un angolo oscuro illuminato solo da un paio di finestre, degli uomini ad un tavolo discutono animatamente del futuro incerto di questo piccolo paesino di provincia, riportando alla mente il grande Caravaggio, con il suo “vocazione di San Matteo”, un gruppo di persone irrequiete che non trova l’accordo giusto per prendere ancora una volta in giro i poveri cittadini; ebbene sì, se guardate a fondo i visi di queste persone, potrete notare gli stessi volti di sempre, quelli di cinque, dieci, venti anni fa, che giocano a dividersi i candidati dopo una conta, un po’ come quando da bambini giocavamo a calcio in villa e i due capitani dopo la conta sceglievano uno ciascuno i membri della propria squadra, ogni volta erano gli stessi giocatori, ma in squadre differenti; il tutto all’oscuro di tutti, un po’ come i carbonari.

Allontaniamoci ora da quel bar e aspettiamo che sorga il sole e perché no?!, godiamoci una bella alba a Casalabate, paragonabile forse al “levar del sole” di Claude Monet, un timido sole che prima di donare al mondo tutta la sua bellezza, si specchia in mare per “darsi una sistemata”, proprio come noi esseri umani; due barchette di pescatori, immerse nella foschia di un nuovo giorno, si fanno spazio tra l’ondeggiare di quell’azzurro, portando a terra il pescato della nottata appena trascorsa. E noi, che siamo osservatori, godiamo di tutta questa calma bellezza della nostra terra.

Dopo aver sognato, ritorniamo a Squinzano, questa volta in piazza, richiamando “la scuola di Atene” di Raffaello, dove una gran folla facente parte di vari gruppi politici, aspetta i futuri candidati sindaci per decidere insieme le strategie e la squadra che ognuno di loro dovrà mettere in campo, senza sapere che il giorno precedente, in un semplice bar, i giochi erano già fatti; ecco i primi due, sempre loro, gli irriducibili che si presentano ai propri elettori con nuovi volti, un po’ l’emblema di quest’opera; infatti nella scena centrale, sulla sinistra, Platone ha le Sembianze di Leonardo e sulla destra, Aristotele ha le sembianze del filosofo Bastiano da Sangallo; e così tutti gli altri personaggi, nomi conosciuti ai più ma con nuovi volti. Squinzano è questo, “capitani” che si riuniscono nei bar o nei loro bunker per spartirsi i candidati come il fantacalcio, gente a cui noi, “innocenti” cittadini, affidiamo il destino del nostro paese, come se cambiando squadra o modo di presentarsi, possa farci dimenticare i venti anni di sciagura che sovrastano oramai questo piccolo grande territorio.

I più ora diranno: “non c’è alternativa, ci sono loro e loro voteremo”. No! L’alternativa c’è, siamo noi che non la creiamo, siamo noi che diamo ancora credito a questi personaggi riciclati, pronti a fare il “salto della quaglia” con la stessa semplicità con cui prendono sempre in giro il popolo, non dando valore a chi davvero potrebbe fare la differenza. Vi vogliamo lasciare con un dipinto particolare, “L’urlo” di Munk, un urlo di aiuto delle generazioni future che solo noi possiamo ascoltare e cambiare.

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