La purezza del cuore di Santa Teresa d’Avila nella percezione divina

In una società ove c’è sempre più bisogno di conoscere e valorizzare la figura femminile (amica, compagna, moglie, sorella, eroina ecc.), quella di Dottore della Chiesa richiama alla mente il caso di una figura straordinaria come Santa Teresa d’Avila (Avila 1515 – Alba de Tormes 1582), la prima donna ad essere proclamata, (27 settembre 1970) da Paolo VI.

Nel giorno in cui coincide la ricorrenza della festa liturgica, la ricordiamo come scrittrice e fondatrice (1562) della prima comunità di monache e di frati Carmelitani Scalzi (1568). Tra i suoi numerosi scritti, El Castillo interior (Il Castello interiore) è sicuramente l’opera più importante ove parla dei vari stadi dell’estasi (sette stanze; sette gradi differenti di prossimità che la portano sino all’unione con Dio).

Il Castello è archetipo ma anche metafora dell’anima ove quest’ultima va intesa «come un castello fatto di un solo diamante o di un tersissimo cristallo, dove sono molte dimore, come molte ve ne sono in cielo» tanto da paragonare l’anima al paradiso. Trattasi sicuramente del capitolo più misterioso e significativo della sua vita in cui si parla dello stato interiore della sua anima tanto che, per dono di Dio, sperimenta visioni e la grazia della transverberazione.

Da una lettera del 1581 (un anno prima della sua dipartita), indirizzata ad Àlvaro Velasquez, vescovo d’Osma, si intuisce lo stato di perfezione e di grazia della Santa:

«L’anima cristiana già per questa parte non è più soggetta alle miserie del mondo, come prima soleva, mentre, quand’anche soffra più, ciò non pare che passi l’esterno, e restando quasi in un forte castello, non perde la sua pace, quantunque tale sicurezza non le tolga il timore di offendere Dio, ed il desiderio di rimuovere tutti gli ostacoli di ben servirlo; anzi in ciò la fa camminare con maggior accuratezza; e però così scordata di tutto ciò che riguarda il proprio interesse, che le sembra in parte   aver perduto l’essere, mentre di sé medesima non si ricorda. Tutto ciò conduce al maggior onore di Dio, perché si adempia la sua volontà e venga maggiormente glorificato».

Leggendo i suoi scritti si comprende quanto l’estasi, manifestazione divina, viene percepita sia in modo visivo che uditivo, oltre ad essere vissuta attraverso la sua fisicità. A venire incontro a questo tipo di percezione è molto significativo un passo tratto dalla sua Autobiografia tanto da svelare aspetti molto interessanti, visibili, dal punto di vista iconografico, nella stessa opera di Gianlorenzo Bernini (L’Estasi di santa Teresa d’Avila– 1645- 1652), conservata a Roma nella Chiesa di Santa Maria della Vittoria:

«Un giorno mi apparve un angelo bello oltre ogni misura. Vidi nella sua mano una lunga lancia alla cui estremità sembrava esserci una punta di fuoco. Questa parve colpirmi più volte nel cuore, tanto da penetrare dentro di me. II dolore era così reale che gemetti più volte ad alta voce, però era tanto dolce che non potevo desiderare di esserne liberata. Nessuna gioia terrena può dare un simile appagamento. Quando l’angelo estrasse la sua lancia, rimasi con un grande amore per Dio».

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