Una passeggiata enogastronomica nel Salento

Continua il nostro viaggio alla scoperta del Salento, immergendoci in quelli che sono i nostri modi di fare, i nostri atteggiamenti, i nostri riti.

Parliamo delle tradizioni enogastronomiche, tradizioni antiche, tramandate da generazione in generazione, che raccontano storie del nostro passato contadino, una cucina povera ma ricca di significato perché, a prescindere da tutto, il salentino medio, una cosa non si è mai fatta mancare, il buon cibo.

Immergiamoci, dunque, in quell’atmosfera ridente fatta di ulivi e profumi nostrani.

E’ sera, partiamo da casa per recarci nella tipica masseria Salentina nascosta nelle campagne del territorio e segnalata solo da piccoli cartelli piegati su se stessi dal vento e un po’ arrugginiti dalle piogge invernali. La campagna di notte, abbandona il suo giallo lucente, tipico dei quadri di Van Gogh e si tramuta nelle “ninfee” di Monet, dipinte di notte; un quadro impressionista, dove i colori sono opacizzati dalla sera e mischiati dal lucente candore della luna che ne risalta i contorni in questo eterno gioco dell’arte, un gioco del tutto naturale che ha da sempre ispirato i più grandi pittori della storia.

Finalmente, in lontananza, vediamo delle luci che mettono in evidenza una grande costruzione antica; man mano che ci si avvicina, il nostro sguardo si perde nella storia, una piccola torretta, quella che era una chiesa antica e la grande masseria si palesano ai nostri occhi con le loro pietre antiche che, se potessero parlare, racconterebbero storie a noi sconosciute, storie in cui il bello della vita era semplicemente avere un proprio podere per la coltivazione. Una volta entrati, ci ritroviamo subito in un’altra dimensione, grappoli di pomodori appesi, peperoncini da far essiccare, coppe in rafia che adornano i muri, quadri con vecchie foto della coltivazione di tabacco, un grosso cesto con delle olive nere, frutti della nostra terra e mazzetti di origano che adornano gli angoli della sala. Ci accomodiamo al tavolo e come ben venuto arriva del pane fatto in casa appena sfornato, così fresco e croccante che se ne può “percepire l’odore al tatto”, il tutto accompagnato dal nostro olio, denso e scuro, con quel gusto leggermente pungente dopo averlo assaporato, un olio dal profumo intenso, deciso, che ti verrebbe voglia di berlo così, senza pensarci due volte.

Naturalmente non poteva mancare il nostro vino per accompagnare questa cena che a breve degusteremo, quel vino forte, intenso e così odoroso da immaginare l’uva di Negramaro che pian piano rompe la sua buccia facendo uscire quel rosso succo durante la spremitura. Arrivano i primi antipasti, come potevano mancare le nostre “pittule” (o pettole, dipende dalla zona), del semplice impasto di acqua, farina e lievito, una cucina povera, ricavata da quello che ci dava la terra; come non assaggiare poi i nostri “panzerotti di patate”, anche qui, delle semplici patate lesse con formaggio e uova, un connubio di “facile felicità” che non delude mai; a tutta questa allegra compagnia, si aggiungono le nostre friselline con pomodoro capperi e rucola, piatto tipico dell’estate, utilizzate per rinfrescare il palato nelle calde notti estive, quando da piccoli ci si metteva con i nonni nel giardinetto di casa e tra una frisa e l’altra la serata trascorreva velocemente accompagnata da risate e gioie che portiamo tutti nel cuore. Dopo questo piccolo antipasto, passiamo ora alle cose serie, le orecchiette con la conserva al pomodoro e il “caso ricotta”; come dimenticare le grosse conserve estive nei quali si mettevano a bollire, in grossi pentoloni, i pomodori, versati in un secondo momento nel passaverdure che dava forma a quella magia capace di trasformare i pomodori in una rossa polpa densa, caratterizzata da un profumo fantastico di freschezza. Ed eccole qui le nostre orecchiette fatte in casa, una combo meravigliosa che mischia i colori della terra, rendendo il piatto unico con l’aggiunta di basilico e “cacio ricotta”, formaggio dal sapore salato che unendosi alla conserva, crea una crema semi densa ben amalgamata alle orecchiette e che stuzzica le papille gustative, in festa già al primo assaggio. Cosa aspettarci ora come seconda portata se non delle polpette al sugo, un misto di carne trita con pan grattato, pecorino, un pizzico d’aglio e del prezzemolo, fatte precedentemente cuocere nella nostra conserva; una volta messe in bocca, a parte “l’ustione” iniziale, l’esplosione di sapori è surreale, il contrasto tra carne, pecorino e aglio, crea questo connubio di sapori estremamente divino, che spingono chi mangia, a non fermarsi più, ed è così che una polpetta tira l’altra, fino alla sazietà estrema e alla necessità di prendere “l’ammazza caffè” che ci condurrà di lì a breve da Morfeo.

La nostra terra è ricca di emozioni, anche a tavola; nelle nostre masserie, osterie o nei semplici ristorantini di città, quello che da sempre ci caratterizza è la semplicità, quella semplicità povera che riesce ad unire la buona cucina con il nostro territorio, tanto è vero che per noi salentini, mangiare non è una necessità, ma un vero e proprio culto, retaggio di tradizioni antiche, arrivate a noi grazie al contadino e a sua moglie, pronti ad utilizzare quel poco che avevano a disposizione, per la preparazione di piatti diversi, saporiti e soprattutto naturali; dobbiamo essere loro riconoscenti per ciò che hanno donato a noi posteri, ovvero quel che oggi chiamiamo cucina salentina.

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