Un Inno nuziale dal Palazzo Volpe-Sabucchi di Calascio

In un borgo abruzzese in provincia di L’Aquila, nella parte meridionale del Gran Sasso, dal nome Calascio e a pochi km dall’omonima Rocca (1500 m. ca.), famosa per riprese cinematografiche come Lady Hawke o Il nome della rosa, vi sono episodi ricchi di vita vissuta.

Tra i molti edifici storici di Calaso, secondo la toponomastica, il Palazzo Volpe-Sabucchi, risalente ai secc. XVII-XVIII, per la sua architettura, presenza di affreschi ecc., possiede un innegabile fascino. Tra le varie vicende di cui è protagonista questa residenza signorile risalta quella di due giovani sposi i quali, non avendo eredi, donano l’edificio alle suore della Sacra Famiglia di Bergamo affinché si occupino dei minori. Per tale gesto, ovvero «per notevoli elargizioni a vantaggio della istruzione elementare e della educazione infantile» essi ricevono un diploma di benemerenza (R. D. 19 aprile 1934).

Successivamente l’edificio viene acquistato da privati ed attualmente, dopo un accurato restauro, è un elegante e confortevole Hotel, conosciuto come Palazzo Diamante.

Tornando all’inno calasciano, i due sposi sono destinatari di questo Inno: Per le solenni nozze della gentil donzella Maria Sabucchi col nobil giovane Diamante Volpe 25 Settembre 1889; originari, rispettivamente, di Pianella, (provincia di Pescara) e di Calascio.

Composto da Maurizio Sulli, nativo del vicino Castel del Monte che, come risulta dal Calendario Generale del Regno d’Italia del 1903, oltre a ricoprire l’incarico di sindaco dà un impulso significativo alla realizzazione di importanti infrastrutture, il testo, di natura encomiastica, è testimonianza di una prassi piuttosto diffusa nel nostro Paese all’epoca verso appartenenti al ceto nobiliare-borghese, pur risalendo alla classicità.

Oltre a rifarsi ad autori come Catullo non mancano composizioni ad opera di letterati e musicisti tra cui Carlo Antonio Gambara (1774-1836), figura eclettica che dal 1802 viene alla ribalta come poeta soprattutto per l’uso della terzina dantesca, componendo poemetti per nozze di personaggi importanti, compreso un Inno ad Imeneo Per le nozze di Odoardo Donesmondi e della Signora Angela Martinengo (Padova, 1811).

Esaminando il testo in oggetto, si evince la conoscenza, da parte di Sulli, di una raccolta di componimenti poetici di Nicola Severi di Rieti, pubblicati a Pisa nel 1852.

Maurizio Sulli

Nicola Severi

Genio d’amor, che le più belle cose

col tuo benigno soffio avvivi e accendi,

il gel dei nostri monti in gigli e rose

converti, e splendi.

Volgi propizio a questi amanti il ciglio

col tuo sorriso placido e giocondo,

Provvido Genio, che col tuo consiglio

Animi il mondo

Volgi pietoso a questi amanti il ciglio,

E lor ti mostra placido e giocondo;

Tu, che di Citerca vezzoso figlio

Popoli il mondo!

Tu di feroci e vagabonde genti

addolcisti la prima indole dura:

sursero al cenno tuo l’alte e possenti

civiche mura.

Tu di feroci e vagabonde genti

Addolcisti la prava indole dura:

Sursero al cenno tuo l’alte e possenti

Cecropie mura.

Scendi: e alla coppia degli sposi apporta

tua catena gentil di gioie fonte;

e a lor corona di bei fiori in testa

cinga la fronte

Scendi, e alla coppia desiosa appresta

Tua catena gentil di vita fonte,

E di corona a Lei, di rose intesta,

Cingi la fronte.

Nel santo amplesso de’ due cari sposi

esultino nel ciel l’ombre de’ padri;

E ridano più belli e più gioiosi

gli occhi alle madri.

Dal tuo bel manto dell’argenteo lembo,

che tesseron le grazie e i molli amori,

fa che odoroso lor discenda in grembo

nugol di fiori.

Or del tuo manto dell’argenteo lembo,

Che tesseron le Grazie e i molli amori,

Fa’ che odoroso lor discenda in grembo

Nuvol di fiori.

E nei germogli e cresca un fior novello

 un gentil fiore de’ più vaghi colori,

un fior gentil non più veduto e bello,

che Italia onori.

Se da un lato si segnala che la circolazione delle dediche di Inni nuziali sia piuttosto diffusa, nonostante i due novelli sposi vivano distanti da grandi centri abitati, dall’altro colpisce la parte finale del testo che, metaforicamente, sembra riferirsi al loro destino come preludio di una vita “nobile d’animo” che sarà a servizio della comunità, visto poi il lascito così rilevante.

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