Fine vita, una battaglia di civiltà o un problema inesistente?

La storia della triste scomparsa del giovane calciatore Giovanni Cristoforo ha riportato in primo piano la spinosa questione sull’eutanasia. Si è celebrato il ricordo del ragazzo prima della partita di serie A, Lecce-Inter.

Foto dal web
Foto dal web

Nell’era digitale il cittadino è bombardato da informazioni, quello che gli studiosi definiscono l’information overload, vale a dire un sovraccarico cognitivo. Questo fenomeno, se da un lato ha contribuito ad una capillare diffusione dell’informazione, dall’altro ha reso talvolta il lettore incapace di rielaborarla.
Il susseguirsi di gravi notizie di cronaca, unite alla costante e capillare diffusione, ha reso il lettore impassibile e meno empatico.

Sebbene questo accada nella maggior parte dei casi, ci sono storie come quella di Giovanni Cristoforo che per la loro umana fragilità hanno un forte eco mediatico.
La storia del giovane portiere del Fasano, tristemente scomparso all’età di 25 anni, ha suscitato una commozione tale da essere ricordato in diverse iniziative, locali e nazionali.
Su tutte è sufficiente ricordare la vicinanza del mondo sportivo, con le maglie celebrative della memoria del ragazzo da parte del Lecce e la fondazione di una onlus nel nome di Giovanni con un intento ben preciso: portare avanti le sue battaglie.
La sorella ha confidato ai media nazionali, infatti, che laddove l’eutanasia fosse stata legale avrebbe aiutato il fratello ad usufruirne.

Parlare di eutanasia non è mai semplice, è un tema spinoso che fuoriesce dalla logica del diritto e si scontra con ben precise scelte di politica legislativa. Ci sono ordinamenti che la prevedono, come quello svizzero, ed altri, come quello italiano, che la ritengono una pratica illegale.
Sarà per l’inerzia del legislatore, sarà per l’effettiva difficoltà nell’affrontare il tema del fine vita che nel nostro Paese è recentemente toccato alla Corte Costituzionale trovare una soluzione ragionevole e di diritto al caso Cappato.
Nel nostro ordinamento esiste una legge, la n. 219/2017, emanata in seguito al grande clamore mediatico suscitato dai casi Englaro e Welby, che conferisce il diritto ad interrompere le cure, pur trattandosi di cure vitali (cd. accanimento terapeutico).
Si tratta di una legge che in ogni caso non disciplina la totalità delle circostanze e non conferisce certamente un diritto alla morte. Quest’ultimo infatti si rivela incompatibile con la nostra carta costituzionale, ma anche con la Convenzione dei diritti dell’uomo, cui l’Italia aderisce. Entrambe, infatti, sono fondate sul diritto alla vita.
Con la sentenza del novembre del 2019, la Consulta ha quindi sfruttato il diritto di autodeterminazione in campo medico al fine di conferire al giudice di merito la base normativa per una completa assoluzione di Cappato, il quale aveva aiutato dj Fabo nel viaggio verso la clinica svizzera che avrebbe attuato l’eutanasia.
La Corte dunque non istituisce un diritto alla morte, ma dichiarando la parziale incostituzionalità dell’art. 580 cp, assicura un diritto ad una morte dignitosa al ricorrere di precisi presupposti, anche con l’aiuto di soggetti terzi.
D’altra parte, è bene ricordarlo, la norma in questione ha l’intento di tutelare le persone particolarmente vulnerabili, punendo severamente chi provi ad approfittarsi della situazione di difficoltà delle stesse, non potendosi porre rimedio alla perdita di un bene, come quello della vita, irreversibile.

L’eutanasia consiste nell’induzione volontaria ad una morte serena e indolore mediante assistenza medica. Ed il paradosso a cui si arriverebbe stante le norme attualmente vigenti è che, ricorrenti precisi presupposti, potrebbe essere scriminato il comportamento del soggetto terzo che accompagna all’estero il malato che consapevolmente e liberamente ha deciso di applicare l’eutanasia, ma si impedisce allo stesso di applicarla sul territorio italiano.
Ci si chiede dunque se dover affrontare il sacrificio del viaggio, in condizioni di malattia terminale, faccia parte di un disegno di morte dignitosa a cui l’ordinamento fa riferimento. Ma sul tema è difficile fornire una risposta, ed è preferibile lasciare alla sensibilità del lettore la libertà di una riflessione tanto intima quanto delicata.

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