La cultura politica a Lecce

Se per cultura si intendono le soluzioni che si adottano per affrontare l’esistenza, per politica si intende invece l’arte e lo strumento per raggiungere il potere. Il potere a sua volta può essere fine a se stesso, oppure strumentale per realizzare una visione sociale, economica ed istituzionale. Nella prima accezione, il potere è un fatto istintivo nel secondo frutto dell’intuizione e della ragione. E mentre la ricerca del potere fine a se stessa dà luogo ad una Storia naturale, spontanea, quasi selvaggia, che va da sé, senza controllo e coscienza, nella seconda opzione al centro di questa v’è l’uomo nella sua più alta espressione, come Signore.

Riportando queste considerazioni al caso leccese, nell’esplicazione dell’arte della politica, è possibile affermare che le ultime tre amministrazioni, da quella della Poli-Bortone a quella di Perrone, hanno prodotto tantissimo, ed anche bene, ma queste non avevano una visione. Tali amministrazioni si sono avvalse in larga parte, infatti, della legislazione e delle strategie dell’Unione Europea. Da qui, Lecce è diventata una città turistica, ma non per volontà autoctone, ma perché queste amministrazioni hanno colto l’opportunità offerta dall’UE. Insomma, gli amministratori hanno sfruttato semplicemente i fondi europei, senza un reale contributo ideologico e creativo. Hanno restaurato chiese, conventi, rimesso in sesto strade, hanno creato i rondò, ma senza un reale contributo visionario. Un po’ hanno scopiazzato, un po’ hanno sfruttato certe opportunità finanziarie, ma niente di più.

Ma tutta la destra non ha mai mostrato un sogno leccese, la visione sociale, subendo peraltro le determinazioni milanesi. Ed anche quando Fitto ha mostrato il desiderio di indipendenza, mai si sono capiti sino in fondo gli obiettivi ultimi. Anche Pagliaro, con la sua Regione Salento, al di là di un desiderio di autonomia, non ha mai illustrato una visione della società leccese e salentina.

Al contrario, è avvenuto, invece, con l’amministrazione Salvemini, la quale sebbene incastrata in certi bassi interessi politici e simoniaci della sinistra, ha voluto alzare “l’asticella del vivere civile”, usando una definizione di un noto consigliere di destra e di opposizione, incidendo di fatto sulla qualità della vita del capoluogo salentino. Ne è l’espressione anche la festa del Santo Patrono di Lecce, dove tutto è stato centrato sulla godibilità dell’evento, evitando esasperazioni commerciali e dribblando gli appetiti imprenditoriali, che avrebbero portato ad un disagio generale e ad appesantimenti organizzativi.

E forse l’amministrazione Salvemini cadrà e con essa cadrà la centralità del cittadino sul piano umano, in favore di un proseguimento della Storia leccese all’insegna dei puri istinti di potere, fuori da qualsiasi progetto sociale, dove la simonia la farà da padrona indiscussa. Insomma, con la fine di Salvemini – che costringe anche l’opposizione ad alzare il tiro della sua politica – rientreremo in una Storia che va considerata più come avventura mossa dalla lotta al potere, che come costruzione e frutto dell’utopia. In ciò, il sottosviluppo e la sudditanza nei confronti del Settentrione.

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