Il mestiere del giornalista, intervista esclusiva a Pino Scaccia, storico inviato Rai (2)

pino scaccia premio nabokov

Novoli (Le) – In occasione della serata dedicata all’edizione 2014 del Premio Nabokov, una delle manifestazioni che ha arricchito i giorni dedicati ai festeggiamenti del Santo Patrono di Novoli, abbiamo avuto il piacere di incontrare uno degli inviati storici del Tg1 Rai che ha seguito i più importanti avvenimenti degli ultimi trent’anni, Pino ScacciaSua la firma su importanti reportage realizzati in tutto il mondo, suoi i ben noti scoop giornalistici che lo hanno portato a diventare uno dei big del giornalismo. A latere della serata ci siamo soffermati a parlare con lui della figura del giornalista, di cosa vuol dire essere giornalista e di come questo mestiere sia cambiato nel tempo.

“Cosa significa fare il giornalista? Il giornalista è il mestiere d’informare. Quella dell’inviato poi è la parte privilegiata, esserci in eventi a cui la gente comune non arriva, come purtroppo sono le guerre, non è cosa di tutti. Chi sceglie questo mestiere ha il compito di raccontare secondo i propri occhi e la propria anima, per cui è una grande responsabilità, ma è anche un grande orgoglio – e mentre parla già ci trasmette tutto il suo entusiasmo e l’amore per questo mestiere che lo ha visto tante volte in prima linea – Il giornalista non è un mestiere qualsiasi, lo dico sempre ai giovani nei vari convegni. Purtroppo però lo sta diventando; si fa la domanda per entrare nelle varie testate importanti come si fa per un posto in regione, in provincia o alla ASL, ma non è la stessa cosa. La gavetta è decisiva. Ed in fondo la crisi di questo mestiere nasce proprio da qui. Facendo il confronto con la mia generazione, noto come le scuole di giornalismo abbiano fatto molti danni; mentre prima tutti noi venivamo da stagioni di precariato, me compreso, a noi in realtà ci chiamavano abusivi perché facevamo il mestiere senza averne i titoli, quando però il giornale, facendo una selezione tra chi lo meritava davvero, tra chi dimostrava di conoscerlo questo mestiere, ti assumeva, ti ritrovavi non solo ad essere diventato professionista ma ad avere anche il lavoro. Adesso laurearsi in giornalismo vuol dire che sei giornalista professionista, ma senza lavoro e ti ritrovi a non aver fatto la vera università che è la strada, cioè la gavetta. Io insisto sulla parola mestiere e non professione perché questo è un mestiere che devi imparare dal basso proprio come in una bottega con un mastro artigiano. Ormai invece è visto sempre più come un sbocco professionale qualsiasi, ma non è uguale, c’è una grande differenza”.

Nel suo discorso Pino insiste molto sul concetto che non basta la teoria che si apprende in un corso universitario per considerarsi giornalisti, è fondamentale mettersi in gioco ed entrare in contatto diretto con la realtà, con la quotidianità dove i fatti avvengono. Bisogna smetterla di ridurre tutto ad un giornalismo da scrivania finalizzato a fornire un prodotto commerciale qualsiasi subordinato a interessi di parte, dove i contenuti scompaiono o quasi a favore della necessità di fare numero.

“L’editoria italiana non è un’editoria libera, in tempo di crisi qualsiasi editore non è un editore libero, è chiaro che insegue scopi economici o politici, segue interessi di parte che non permettono un giornalismo libero. Ciò detto comunque, lo spazio per la parte vera, nobile del mestiere si è sempre trovato. Ultimamente purtroppo si è tutto omologato proprio perché, con la scusa della crisi economica, non si investe più; il giornale è diventato un prodotto qualsiasi con l’ansia di vendere. Hanno cominciato i rotocalchi mettendoci le bamboline. Una volta invece i grandi rotocalchi italiani si vendevano per gli scoop, per i contenuti, le inchieste, adesso fanno a gara a chi mette in copertina la bamboletta più grande e i risultati si vedono, il livello della qualità è scarso”.

In una realtà come la nostra, dove l’immagine è tutto, il desiderio più grande è quello di arrivare direttamente a certi livelli e quindi sentirsi al top senza di fatto avere i giusti requisiti o meglio la necessaria esperienza. Ed ecco il proliferare dei tanti giornalisti o pseudo tali che spingono per saltare le tappe, ricorrendo a volte a scorciatoie poco nobili, per avere visibilità e notorietà come se fosse solo quello l’unico scopo del giornalista, mortificando il lavoro di chi a questo mestiere ci crede ancora nonostante tutto.

“A me fa rabbia quando, sui social network, molti mi scrivono per avere consigli su come andare in Siria. Io, che poi in Siria ci sono andato, non sono partito con quell’idea, son partito col desiderio di fare il giornalista, poi il resto è venuto da se. Quando ho iniziato col tg1, facevo anche i collegamenti dal casello dell’autostrada per il traffico, poi pian piano, dopo varie occasioni in cui ho dimostrato le mie qualità, sono andato avanti. Non è che dall’asilo vai all’università. Per arrivare dove sono arrivato ho fatto tutti i campionati minori e in questo modo, quando ci arrivi in serie A, sei solido, hai le spalle forti. Il compito del reporter e del cronista è quello di guardare sempre oltre, a cosa c’è dietro una notizia; perché dietro ad ogni avvenimento c’è sempre qualcosa, ed è così a tutti i livelli. Il modo di fare il mestiere oggi è quello purtroppo di restare in superficie. – e qui fa riferimento al sequestro di Faruk Kassam (1992) e allo scoop che gli è valso il premio cronista dell’anno – Come ad esempio la storia di Faruk che mi ha segnato professionalmente. Mentre tutti se ne stavano a Porto Cervo a luglio, io ogni giorno ero a Orgosolo a parlare con Graziano Mesina. Poi, alla fine, Graziano Mesina l’ha detto a me che Faruk era libero non certo agli altri. La realtà è che la maggior parte della capacità di raccontare sta nel lavoro, perché il talento è una cosa naturale, la tecnica s’impara, tutto il resto è fatica. Fondamentale è il lavoro e la testimonianza diretta che è insostituibile”. Il giornalismo quindi è esserci, andare in mezzo la gente, ascoltare, verificare, analizzare, capire e poi raccontare.

“Certamente questo è un momento di transizione, stiamo attraversando un periodo di grandi cambiamenti e il giornalismo è una punta di diamante perché l’informazione è determinante. Per fare il giornalista oggi ci vuole molto coraggio e passione, voglia di scommettere sulla propria professionalità e serietà, consapevolezza che il posto fisso è ormai un’utopia, ma nonostante tutto crederci ancora in questo mestiere”. Alla fine della nostra chiacchierata, Pino Scaccia non nasconde il suo scetticismo riguardo il futuro del giornalismo, allo stesso tempo però indica la strada da seguire, se veramente si è decisi a fare questo mestiere, e ci invita a non demordere. In fondo il giornalismo è proprio questo, tenacia, caparbietà, onestà di pensiero da mettere al servizio della comunità, voglia di percorrere nuove strade che forniscano i mezzi giusti affinché questo mestiere si rinnovi mantenendo la sua dignità e bellezza.

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