La guerra, questa sconosciuta. Paisemiu incontra Nino Fezza inviato RAI in oltre 17 teatri di guerra

Nino FezzaAttualmente nel mondo il numero delle guerre in corso è altissimo e ignorato dai più, impregnato di  dinamiche perverse che si arricchiscono, all’interno degli stessi conflitti ‘ufficiali’, di schegge impazzite che a causa di interessi più o meno chiari e sempre a scapito di popoli per lo più fragili e dimessi, concorrono a creare distruzione e orrore.

Crediamo di conoscere tutto, pensiamo che quell’orrore non ci appartenga, e spesso dimentichiamo di far parte dell’unica famiglia possibile, che è quella umana.

La guerra intesa come ce l’hanno raccontata i nostri nonni, forse, non esiste più.

Quella combattuta al fronte, con le carabine, i fucili, per difendere un ideale discutibile certo, ma reale, e con delle regole alienanti che non si trasgredivano mai, e che nella logica militare esistevano dall’inizio del mondo. Niente che giustifichi la morte, no. Ma men che meno si può giustificare l’abominio sistematico e convergente verso un unico principio che è la distruzione fine a se stessa.

In questo momento e da circa tre anni, tra i tanti teatri di guerra che turbano le nostre coscienze, quello siriano è forse il più vicino al nostro cuore. E probabilmente la ‘sveglia’ ci viene data anche dalle immagini impietose e puntuali che arrivano dall’obbiettivo coraggioso di un uomo che ha fatto dell’informazione caritatevole e compassionevole la sua eccellente ragione di vita.

Incontriamo Nino Fezza, ortonese, cinereporter RAI fin dal 1980 con una carriera segnata dall’esperienza diretta sul campo internazionale, in particolar modo in quelle terre e in quei scenari dimenticati da Dio e dagli uomini nei quali avvengono guerre sanguinose e violente. Più di 180 Paesi visitati nel Mondo; presenza diretta in 17 teatri di guerra (Nino dice 16 bis per scaramanzia); più di 120 reportage realizzati per trasmissioni importanti come Sciuscià di Michele Santoro, Porta a Porta di Bruno Vespa e da ormai 10 anni per la trasmissione “C’era una volta” su Rai 3. Lo incontriamo a Porto Cesareo (Le), durante una pausa che si è concessa dopo un lungo inverno trascorso in Siria, dove dire che ha visto l’inferno è dire nulla. Ha il volto segnato di chi in ogni ruga conserva il dolore, ma ha il sorriso di chi crede ancora nel bene.

Nino, cosa è utile ad un giornalista per ‘sopravvivere’ nell’inferno della guerra?
Fortuna, pazienza, esperienza. In un conflitto esistono due o più contendenti a confronto, e se stai da una parte ti accettano, sì. Ma non basta, perché tu senti il bisogno di vedere l’altro punto di vista, di fartelo raccontare, di raccontarlo a tua volta; dunque devi essere abile a farti accettare da tutti. E fortunato.

Tu hai vissuto 17 scenari di guerra. Ti sei data una ragione del perché continuino ad esistere?
Le ragioni sono sempre le stesse e partono da interessi, economia e geopolitica. La Siria, ad esempio, è una cerniera tra Oriente ed Occidente ed è un territorio molto ambito. Per esserne padroni non si bada al sangue di nessuno.

Un giornalista lascia l’agio della propria quotidianità, parte in zone di guerra e trova qualcosa che non immagina.
Sì, è vero, ma lì entra in gioco l’istinto di sopravvivenza che è una vera forza motrice dell’esistenza umana. Nel 1992 arrivai all’Holiday Hotel, l’albergo che in Jugoslavia ospitava i giornalisti, e vedevo dalla finestra le persone che camminavano in modo strano; capii poi che cercavano di schivare i colpi dei cecchini, appostati in luoghi che la popolazione aveva imparato a conoscere e dunque a evitare.
Ecco, l’essere umano ha una straordinaria capacità di adattarsi a tutto con una velocità incredibile perché il principio primo è sopravvivere. Qualche tempo dopo anch’io cominciai a camminare in modo strano, in quel grottesco balletto tra cecchini e finta normalità.

Ma come è nata in te la ‘voglia di andare in guerra’?
Non credo di averne avuto voglia. Capitò più di trent’anni fa, per caso, di dover sostituire un collega che doveva partire in Libano, ed ebbe un problema.

A volte i destini nascono da un impedimento altrui.

E poi?
E poi una volta ‘entrato’ in certi scenari, è difficile uscirne. Senti di dover fare qualcosa per quelle persone con cui vivi quotidianamente.

Non per fare un lugubre elenco, ma vuoi dirci dove sei stato?
Dovunque ci sia stata guerra: Libano, ex Jugoslavia, Africa e Sud del mondo, Libia. Ecco, dopo la Libia, mi sono accorto che tra le guerre più devastanti e di cui non si parlava mai o poco, c’era la Siria, dunque mi sono attivato per portare visibilità a quell’eccidio che ha prodotto decine di migliaia di morti tra i civili, tre milioni di rifugiati, sette milioni di profughi che probabilmente non rientreranno mai più nella loro terra.

Ad un certo punto, in Siria, hai compreso che il tuo lavoro di informazione doveva andare oltre, che non bastava mandare servizi diretti ad un solo tipo di utenza, e ‘sei approdato’ sui social.
Sì, ho creato un blog che è stato tradotto in 28 lingue con 800.000 visite mensili da tutte le parti del mondo. Ho aperto una pagina facebook, che aggiorno con puntualità anche grazie alla collaborazione di colleghi che mi aiutano mandandomi materiale da ogni zona in cui si trovino e che integrano i miei scatti.

Su quella pagina ho pubblicato oltre 16.000 post dal 2011 ad oggi.

E a quel punto?
A quel punto ho capito che dovevo andare oltre, e aiutare quel popolo anche con un’azione solidale concreta. C’è da dire che già da tempo collaboravo con Marta Vuch e Auxilia Italia, una Onlus seria e attiva in varie zone del mondo, dunque attraverso questi canali trasparenti ho iniziato ad accompagnare il mio lavoro di informazione con un altro non meno importante di raccolta fondi e materiali di prima necessità per i profughi che vivono nei campi. Ciclicamente partono dall’Italia conteiners pieni di coperte cibi farmaci e ogni prodotto serva per aiutare la popolazione siriana.  Il tutto rendicontato fino all’ultimo centesimo.

Al momento stiamo assistendo anche la gente che è rimasta a sopravvivere nei villaggi, e lo stiamo facendo attraverso la Maram Fondation.
La gente a volte è un po’ riluttante a dare una mano …
Sì, perché il mondo della solidarietà è oscuro, per questo è bene dimostrare tutta la serietà possibile a garanzia e rispetto nei confronti di chi fa del bene, e Auxilia Italia dà conto di ogni aiuto, e porta speranza ovunque operi.

Hai parlato di campi profughi. Come sono strutturati?
Mediamente ci vivono 25.000 persone sistemate in tenda, 10 bagni. Questo per molti di loro è stato il terzo inverno; ti alzi ed hai bisogno di un bagno, poi fai la fila per l’acqua, successivamente per il cibo, in un rosario finito di gesti ripetuti ad oltranza. Un’esistenza congelata in un fermo immagine che lascia poco spazio alla speranza di rinascita. Una vita d’attesa. Tra l’altro i campi sono a rischio di attacchi quotidiani, e non è facile per nessuno vivere in determinate situazioni

Oltre ad occuparvi dei campi?
L’azione è diretta ovunque ci sia bisogno, e si può ben comprendere che in uno scenario di guerra la necessità è in ogni luogo: ospedali, scuole, strade, villaggi.

Nino Fezza vive in situazioni dove non solo il dolore è pane quotidiano, ma anche la paura e molti altri sentimenti ‘difficili’ da portare con sé. Come si difende da certi attacchi?
Ho sempre paura, certo. Ma come ho detto inizialmente, l’essere umano sente forte l’istinto di sopravvivenza. E anch’io mi adatto, mi fondo col contesto, e amo il mio lavoro.

Tra tutte le guerre che ha visto, c’è qualche situazione, qualche volto che ti è rimasto nel cuore più di altri?
I bambini del Mozambico che magari erano fortunatamente sopravvissuti alla guerra, e poi portati a morire nelle discariche. Di fame, di stenti o per mano di bande di delinquenti che facevano di quei bambini ciò che volevano. E in generale, fanno venire i brividi i cosiddetti ‘bambini soldati’, una realtà chiara e definita che stride fortemente con l’essenza dell’infanzia che di per sé, è periodo gioioso e festoso dell’esistenza.

L’incontro con Nino, per ora, finisce qui. Scrivere di un uomo che ha visto, documentato e raccontato 17 guerre non può esaurirsi in poche domande, certo, ma noi abbiamo voluto fortemente incontrarlo perché il suo impegno trovi quante più coscienze possibile, perché una testimonianza di spessore come la sua possa farci riflettere su guerra e pace, su morte e vita, su male e bene.

E termina con l’impegno di essere anche noi al fianco degli operatori di pace, al fianco di chi usa le mani per dispensare carezze, aiuti e umanità. A presto, grande Uomo.

Chiunque volesse contribuire attivamente con una donazione può farlo attraverso l’IBAN IT15 H076 0102 2000 0006 1925 293 AUXILIA ONLUS – CAUSALE EMERGENZA IN LIBIA.

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La guerra, questa sconosciuta. Paisemiu incontra Nino Fezza inviato RAI in oltre 17 teatri di guerra

Nino FezzaAttualmente nel mondo il numero delle guerre in corso è altissimo e ignorato dai più, impregnato di  dinamiche perverse che si arricchiscono, all’interno degli stessi conflitti ‘ufficiali’, di schegge impazzite che a causa di interessi più o meno chiari e sempre a scapito di popoli per lo più fragili e dimessi, concorrono a creare distruzione e orrore.

Crediamo di conoscere tutto, pensiamo che quell’orrore non ci appartenga, e spesso dimentichiamo di far parte dell’unica famiglia possibile, che è quella umana.

La guerra intesa come ce l’hanno raccontata i nostri nonni, forse, non esiste più.

Quella combattuta al fronte, con le carabine, i fucili, per difendere un ideale discutibile certo, ma reale, e con delle regole alienanti che non si trasgredivano mai, e che nella logica militare esistevano dall’inizio del mondo. Niente che giustifichi la morte, no. Ma men che meno si può giustificare l’abominio sistematico e convergente verso un unico principio che è la distruzione fine a se stessa.

In questo momento e da circa tre anni, tra i tanti teatri di guerra che turbano le nostre coscienze, quello siriano è forse il più vicino al nostro cuore. E probabilmente la ‘sveglia’ ci viene data anche dalle immagini impietose e puntuali che arrivano dall’obbiettivo coraggioso di un uomo che ha fatto dell’informazione caritatevole e compassionevole la sua eccellente ragione di vita.

Incontriamo Nino Fezza, ortonese, cinereporter RAI fin dal 1980 con una carriera segnata dall’esperienza diretta sul campo internazionale, in particolar modo in quelle terre e in quei scenari dimenticati da Dio e dagli uomini nei quali avvengono guerre sanguinose e violente. Più di 180 Paesi visitati nel Mondo; presenza diretta in 17 teatri di guerra (Nino dice 16 bis per scaramanzia); più di 120 reportage realizzati per trasmissioni importanti come Sciuscià di Michele Santoro, Porta a Porta di Bruno Vespa e da ormai 10 anni per la trasmissione “C’era una volta” su Rai 3. Lo incontriamo a Porto Cesareo (Le), durante una pausa che si è concessa dopo un lungo inverno trascorso in Siria, dove dire che ha visto l’inferno è dire nulla. Ha il volto segnato di chi in ogni ruga conserva il dolore, ma ha il sorriso di chi crede ancora nel bene.

Nino, cosa è utile ad un giornalista per ‘sopravvivere’ nell’inferno della guerra?
Fortuna, pazienza, esperienza. In un conflitto esistono due o più contendenti a confronto, e se stai da una parte ti accettano, sì. Ma non basta, perché tu senti il bisogno di vedere l’altro punto di vista, di fartelo raccontare, di raccontarlo a tua volta; dunque devi essere abile a farti accettare da tutti. E fortunato.

Tu hai vissuto 17 scenari di guerra. Ti sei data una ragione del perché continuino ad esistere?
Le ragioni sono sempre le stesse e partono da interessi, economia e geopolitica. La Siria, ad esempio, è una cerniera tra Oriente ed Occidente ed è un territorio molto ambito. Per esserne padroni non si bada al sangue di nessuno.

Un giornalista lascia l’agio della propria quotidianità, parte in zone di guerra e trova qualcosa che non immagina.
Sì, è vero, ma lì entra in gioco l’istinto di sopravvivenza che è una vera forza motrice dell’esistenza umana. Nel 1992 arrivai all’Holiday Hotel, l’albergo che in Jugoslavia ospitava i giornalisti, e vedevo dalla finestra le persone che camminavano in modo strano; capii poi che cercavano di schivare i colpi dei cecchini, appostati in luoghi che la popolazione aveva imparato a conoscere e dunque a evitare.
Ecco, l’essere umano ha una straordinaria capacità di adattarsi a tutto con una velocità incredibile perché il principio primo è sopravvivere. Qualche tempo dopo anch’io cominciai a camminare in modo strano, in quel grottesco balletto tra cecchini e finta normalità.

Ma come è nata in te la ‘voglia di andare in guerra’?
Non credo di averne avuto voglia. Capitò più di trent’anni fa, per caso, di dover sostituire un collega che doveva partire in Libano, ed ebbe un problema.

A volte i destini nascono da un impedimento altrui.

E poi?
E poi una volta ‘entrato’ in certi scenari, è difficile uscirne. Senti di dover fare qualcosa per quelle persone con cui vivi quotidianamente.

Non per fare un lugubre elenco, ma vuoi dirci dove sei stato?
Dovunque ci sia stata guerra: Libano, ex Jugoslavia, Africa e Sud del mondo, Libia. Ecco, dopo la Libia, mi sono accorto che tra le guerre più devastanti e di cui non si parlava mai o poco, c’era la Siria, dunque mi sono attivato per portare visibilità a quell’eccidio che ha prodotto decine di migliaia di morti tra i civili, tre milioni di rifugiati, sette milioni di profughi che probabilmente non rientreranno mai più nella loro terra.

Ad un certo punto, in Siria, hai compreso che il tuo lavoro di informazione doveva andare oltre, che non bastava mandare servizi diretti ad un solo tipo di utenza, e ‘sei approdato’ sui social.
Sì, ho creato un blog che è stato tradotto in 28 lingue con 800.000 visite mensili da tutte le parti del mondo. Ho aperto una pagina facebook, che aggiorno con puntualità anche grazie alla collaborazione di colleghi che mi aiutano mandandomi materiale da ogni zona in cui si trovino e che integrano i miei scatti.

Su quella pagina ho pubblicato oltre 16.000 post dal 2011 ad oggi.

E a quel punto?
A quel punto ho capito che dovevo andare oltre, e aiutare quel popolo anche con un’azione solidale concreta. C’è da dire che già da tempo collaboravo con Marta Vuch e Auxilia Italia, una Onlus seria e attiva in varie zone del mondo, dunque attraverso questi canali trasparenti ho iniziato ad accompagnare il mio lavoro di informazione con un altro non meno importante di raccolta fondi e materiali di prima necessità per i profughi che vivono nei campi. Ciclicamente partono dall’Italia conteiners pieni di coperte cibi farmaci e ogni prodotto serva per aiutare la popolazione siriana.  Il tutto rendicontato fino all’ultimo centesimo.

Al momento stiamo assistendo anche la gente che è rimasta a sopravvivere nei villaggi, e lo stiamo facendo attraverso la Maram Fondation.
La gente a volte è un po’ riluttante a dare una mano …
Sì, perché il mondo della solidarietà è oscuro, per questo è bene dimostrare tutta la serietà possibile a garanzia e rispetto nei confronti di chi fa del bene, e Auxilia Italia dà conto di ogni aiuto, e porta speranza ovunque operi.

Hai parlato di campi profughi. Come sono strutturati?
Mediamente ci vivono 25.000 persone sistemate in tenda, 10 bagni. Questo per molti di loro è stato il terzo inverno; ti alzi ed hai bisogno di un bagno, poi fai la fila per l’acqua, successivamente per il cibo, in un rosario finito di gesti ripetuti ad oltranza. Un’esistenza congelata in un fermo immagine che lascia poco spazio alla speranza di rinascita. Una vita d’attesa. Tra l’altro i campi sono a rischio di attacchi quotidiani, e non è facile per nessuno vivere in determinate situazioni

Oltre ad occuparvi dei campi?
L’azione è diretta ovunque ci sia bisogno, e si può ben comprendere che in uno scenario di guerra la necessità è in ogni luogo: ospedali, scuole, strade, villaggi.

Nino Fezza vive in situazioni dove non solo il dolore è pane quotidiano, ma anche la paura e molti altri sentimenti ‘difficili’ da portare con sé. Come si difende da certi attacchi?
Ho sempre paura, certo. Ma come ho detto inizialmente, l’essere umano sente forte l’istinto di sopravvivenza. E anch’io mi adatto, mi fondo col contesto, e amo il mio lavoro.

Tra tutte le guerre che ha visto, c’è qualche situazione, qualche volto che ti è rimasto nel cuore più di altri?
I bambini del Mozambico che magari erano fortunatamente sopravvissuti alla guerra, e poi portati a morire nelle discariche. Di fame, di stenti o per mano di bande di delinquenti che facevano di quei bambini ciò che volevano. E in generale, fanno venire i brividi i cosiddetti ‘bambini soldati’, una realtà chiara e definita che stride fortemente con l’essenza dell’infanzia che di per sé, è periodo gioioso e festoso dell’esistenza.

L’incontro con Nino, per ora, finisce qui. Scrivere di un uomo che ha visto, documentato e raccontato 17 guerre non può esaurirsi in poche domande, certo, ma noi abbiamo voluto fortemente incontrarlo perché il suo impegno trovi quante più coscienze possibile, perché una testimonianza di spessore come la sua possa farci riflettere su guerra e pace, su morte e vita, su male e bene.

E termina con l’impegno di essere anche noi al fianco degli operatori di pace, al fianco di chi usa le mani per dispensare carezze, aiuti e umanità. A presto, grande Uomo.

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